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"Il prezzo dell'Onore"

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Messaggio  Gregor Ven Set 18, 2009 8:07 am

Antonio. PRESENTE!
Gian Domenico. PRESENTE!
Massimiliano. PRESENTE!
Roberto. PRESENTE!
Matteo. PRESENTE!
Davide. PRESENTE!

"Il prezzo dell'Onore" St_folgore

Grazie Ragazzi.
Grazie per aver mantenuto alto agli occhi del mondo l'Onore dell'Italia.

Meridionali?
No! Italiani e dei migliori!!

Onore a Voi.

Gregor

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Messaggio  Gregor Ven Set 18, 2009 8:39 am

Due parole, due parole soltanto.
Non è vero, o perlomeno non è dl tutto vero che si sceglie la vita militare perchè non esistono altre alternative.
Non è vero, o perlomeno non è dl tutto vero che chi opta per le missioni all'estero, lo fa esclusivamente per una mera questione economica.
Essere militari oggi, significa essere portatori di pace e non come in passato, portatori di morte.


I NOSTRI RAGAZZI IN AFGANISTAN?

Lavoravano per la pace, per la pace nel mondo.
Lavoravano per stroncare il terrorismo islamico, lavoravano nel tentativo di distruggerlo.
Lavoravano per impedire che il mondo potesse ancora piangere per fatti come quelli arcinoti che in questi ultimi anni lo hanno funestato.
Lavoravano per la nostra sicurezza, nostra e dei nostri figli.

Mi fa schifo chi tuona per il ritiro delle forze di pace da quei territori, specie chi lo fa per bieco tornaconto politico speculando sul sangue versato.

Onore a Voi ragazzi, dal più profondo del cuore.

Gregor

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Messaggio  Angela Ven Set 18, 2009 11:03 am

venerdì 18 settembre 2009

Ho visto i nostri blindati saltare in aria

di Alessandra Vaccari

Kabul

Un botto, secco, sordo, cupo. In lontananza un fungo di fumo nero si leva nel cielo. Da dietro le spalle, una voce cerca invano di sdrammatizzare: «Ecco, appena arrivati e subito un attentato...». Si scherzava, ieri mattina a Kabul nella comitiva appena sbarcata dal C130 decollato prima dell’alba da Abu Dhabi. Era un modo per esorcizzare la tensione. Stavamo scaricando i bagagli per accatastarli in un container. Poi la notizia, un botto silenzioso, un vuoto nel cuore. Erano saltati in aria due Lince italiani, mezzi blindati della brigata Folgore, sui quali pochi minuti prima erano saliti alcuni dei militari atterrati con noi.
Avevamo viaggiato assieme, un lunghissimo trasferimento con tappa negli Emirati, tre giornalisti aggregati al contingente che doveva dare il cambio a un gruppo di commilitoni. Forse avevamo anche scambiato poche parole con i quattro soldati morti, nel frastuono assordante dell’apparecchio militare da trasporto. Erano sereni, pieni di vita, ragazzi entusiasti di essere utili e di portare la pace. I nostri giovani migliori, saltati in aria mentre erano felici di fare il loro lavoro in questo nuovo Vietnam.
Erano diretti alla sede del comando Isaf. Dopo lo sbarco, in una saletta dell’aeroporto di Kabul, si erano messi agli ordini del tenente Antonio Fortunato. «Prima accompagno loro, poi vengo a scortare voi giornalisti verso Camp Invicta», ci aveva salutato l’ufficiale. Fortunato era il caposcorta. Tutti i soldati che a Kabul tornano di sei mesi in sei mesi lo apprezzavano, sempre pronto a dare loro elmetto e giubbotto, a dispensare consigli, a raccomandare prudenza, quella cautela che ieri mattina non è servita a salvare sei vite.
Saluti, pacche sulle spalle, promesse di rivedersi presto. Un battito di ciglia, prima sei vivo, e un attimo dopo sei morto. Un momento prima te la prendi con i quattro che salgono a bordo del Lince prima di te, «i soliti raccomandati». Un sospiro e i corpi di quei ragazzi giacciono carbonizzati nel veicolo nel quale avrei voluto salire io, per arrivare prima alla base, per vedere subito, per cominciare a raccontare immediatamente, per non perdere tempo nel mio lavoro.
Le notizie ti grandinano addosso senza controllo. Sembra un attentato. No, non sembra, lo è davvero. Il più grave attentato mai realizzato nella capitale afghana. Il più sanguinoso. È stato un kamikaze. Sono coinvolti civili. Anche militari. Soldati italiani. È il primo troncone del nostro convoglio. Sono dei nostri. E sono morti. In sei. E quattro sono feriti. Perché? Perché a loro e non a me? Era una questione di attimi, di ordini. Il destino faccia a faccia è un mistero che ti taglia le gambe e ti azzanna lo stomaco.
In aeroporto arriva l’ambasciatore italiano Claudio Glaentzer con la moglie. Dovevano andare a Herat. Ha il volto stravolto, mormora poche parole: «So che è accaduto a piazza Massud, e basta». Questo non era un attentato contro gli italiani. Questo era un attentato contro qualsiasi convoglio militare fosse passato a quell’ora da quel posto.
La rabbia si impadronisce dei militari lasciati a terra in attesa. Sgomento, imprecazioni, qualcuno prende a calci uno dei Lince rimasto in sosta. «Dev’essere stata un’autobomba molto potente. Si è infilata tra due mezzi. Un potenziale esagerato. Oltre ai sei soldati italiani ci sono persone morte anche civili. Una Toyota avrebbe anche tamponato. Non sappiamo, non abbiamo certezze». E chi ne ha, di certezze, qui a Kabul?
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Messaggio  Angela Ven Set 18, 2009 11:04 am

venerdì 18 settembre 2009

L’ultrasinistra esulta: «A Kabul è uscito il 6»

di Felice Manti



Eppure in Italia c’è chi festeggia. Chi brinda. Chi gongola deliranti proclami di gioia: «Bingo. Esce il 6 sulla ruota di Kabul. La resistenza afghana folgora i mercenari fascisti in Afghanistan. Un piccolo passo per la popolazione afghana, un grande passo per l’umanità». È questa l’agghiacciante esultanza che inneggia alla morte dei nostri militari a Kabul e che campeggia sull’homepage del sito http://precariopoli.leftlab.com da ieri pomeriggio. L’autore del blog si chiama (o si fa chiamare) Antonio Ramone, e non è la prima volta che si distingue in questi macabri festeggiamenti. A luglio aveva esaltato la «resistenza afghana» che aveva ucciso il caporalmaggiore dei paracadutisti della Folgore, Alessandro Di Lisio, ammazzato lo scorso luglio in un agguato a Farah e definito nel blog un «porco mercenario fascista». Ma ancora più rivoltante lo pseudo sondaggio lanciato dal sito sulle «nuove uniformi» dei militari morti, i teli azzurri che ricoprono i cadaveri. L’infame scelta del farneticante sondaggio «Cosa pensate delle nuove uniformi dei mercenari fascisti?» è tra «Azzurre sono carine», «Leggere e pratiche», «Comode per il viaggio di ritorno». I suoi amichetti di forum vigliaccamente fanno a gara a chi fa la battuta a effetto. «Mi sarei accontentato del 5+1». Anche su Facebook il gruppo «Esultiamo per la morte dei soldati italiani in Afghanistan: forza talebani» ha raccolto 75 membri.
Con la morte dei nostri militari in missione si ripete ancora una volta lo sciacallaggio mediatico urlato nell’anonimato dei blog e destinato a diventare quel vile tam tam troppe volte scandito da chi si nasconde tra la folla nelle piazze, magari dopo aver bruciato una bandiera d’Israele. È già successo, ed è facile prevedere che succederà ancora. Si è già sentito quel «Dieci, cento, mille Nassirya», coniato dopo la morte dei 19 italiani il 12 novembre 2003. Slogan che già la magistratura ha deciso essere reato, «istigazione a delinquere e oltraggio alla pietà dei defunti». Reato sì, ma senza colpevoli, anche se nel 2006 i due esponenti del Pdci Oliviero Diliberto e Marco Rizzo furono indagati per «concorso morale esterno» e s’indignarono, dicendosi ignari e incolpevoli per la «provocazione» dei disobbedienti e dei giovani dei centri sociali che il 18 febbraio del 2006 sfilavano con le bandiere rosse in difesa della Palestina.
Ma se certe farneticanti apologie di strage sopravvivono all’indignazione è anche perché da sinistra si insiste non solo nel chiedere il ritiro immediato da Kabul, ma perché si parla di «finto cordoglio da parte chi li ha mandati a morire» come la Confederazione unitaria di base, mentre c’è chi invita i politici a «giocare a Risiko anziché ingigantire la spesa militare». E ancora c’è chi, come i marxisti-leninisti, non si vergogna a definire pubblicamente gli assassini dei nostri soldati come «eroi che non sopportano di essere soggiogati dai Paesi imperialisti». E c’è anche «l’esperto» Claudio Fava di Sinistra e libertà che si pavoneggia dietro un laconico «l’avevo detto io, quella in Afghanistan è una strage di chi paga l’ambiguità e le menzogne della politica» e i redivivi Franco Turigliatto e Salvatore Cannavò, ex parlamentari di Sinistra critica, che si vantano: «Quando manifestavamo il nostro dissenso eravamo isolati e insultati dalla politica ma i fatti continuano purtroppo a darci ragione».

Anche la Cgil non si sottrae alla facile speculazione politica «basta morti, tutti a casa, guerra sbagliata» e addirittura invoca la fine dell’appoggio Nato al presidente Kharzai. Per non parlare dell’ex europarlamentare Prc Vittorio Agnoletto, che ha parlato di «militari italiani mandati al macello per difendere un governo corrotto, pieno di narcotrafficanti e di signori della guerra e per acquisire meriti alla corte di Washington». Loro sì guardano alla guerra come fosse solo uno stupido Risiko.
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Messaggio  Angela Ven Set 18, 2009 11:05 am

venerdì 18 settembre 2009

Impossibile arretrare. È in gioco la sicurezza della nostra civiltà
di Giuseppe De Bellis

Si sta, anche quando si muore. Questa è una sporca guerra giusta. L’Afghanistan è la frontiera dell’Occidente: ci siamo per noi, prima che per loro. Per l’America, per l’Europa, per il futuro. Non si può tornare indietro da se stessi. Piangiamo oggi e ci riarmiamo domani. Questa guerra non si può perdere per abbandono. Perché è nostra. È la diretta conseguenza dell’attacco alle Torri Gemelle, è l’effetto secondario dell’11 settembre 2001, è la risposta a un’offesa vigliacca, all’assalto contro gente come noi. Non è un conto aperto di Bush, né un nuovo fronte di Obama. Dentro c’è uno scontro che non si chiude a Kabul, Kandahar, Herat e Jalalabad. Passa da New York e arriva nelle città. Sono tutti i militari che incontriamo armati a difesa dei nostri monumenti. Sono i controlli negli aeroporti, la paura di viaggiare, la voglia di restare a casa. Questa guerra è fatta da divise che non hanno bandiere: difende un popolo senza nazionalità, reagisce per la dignità di una vita normale. È la risposta a New York sfigurata nel 2001, a Madrid colpita del 2003, a Londra esplosa nel 2005. È l’orgoglio di una rivalsa.

Non c’entra con l’Irak, non ora. Perché chi confonde regala un alibi ai kamikaze. Lo scontro per Bagdad nacque tra le polemiche che trascina ancora adesso. Era giusto anche quello, quando fu deciso. Poi s’è infognato nelle carte dell’Onu, nelle diatribe ideologiche. Ha portato alla fine di Saddam e nessuno pianga per questo. Senza Hussein è un mondo migliore, anche se nessuno ha il coraggio di dirlo. Si può discutere qualcosa dell’Irak, l’abbiamo fatto, l’abbiamo sentito, l’abbiamo elaborato. Non si può per l’Afghanistan. Nessuno, nella zona della Casa Bianca pensa che il ritiro sia un’ipotesi possibile. Lo dice solo qualche intransigente liberal del Congresso seguito dai pacifisti europei che considerano evidentemente i Talebani come un folcloristico gruppo etnico.

Obama no. Ha vinto le elezioni dicendo che non avrebbe mollato l’eredità di Bush. «Porteremo a compimento la missione anti-terrorismo». Ha aumentato del 50 per cento i soldati, ha cambiato i vertici militari, ha scelto i generali che hanno guidato per Bush la guerra in Irak, bombarda ogni giorno, fa sparare ogni minuto. Il Pakistan ci va di mezzo? Fa niente. Se una bomba colpisce i Paesi confinanti è un male necessario, per il presidente Usa. Perché vuole vincere, deve vincere. Allora ha chiesto anche più impegno agli alleati. Noi. Tutta Europa, tutto l’Occidente. Siamo lì per sopravvivere, per difenderci. Si tornerà a missione compiuta.
Questa è una guerra che non tiene conto di una normale dialettica pacifisti-interventisti: qui non si tratta di voler conquistare qualcosa, qualcuno, soldi, potere. Qui siamo andati a cercare di stanare chi ha dichiarato il suo rancore nei confronti del nostro modo di vivere, chi vuole imporci un mondo dove le donne sono sottomesse, dove gli uomini sono combattenti nel nome di un’idea che fa finta di richiamarsi all’Islam. Siamo andati a dirgli, cercando caverna per caverna, che c’è un mondo che non può farsi mettere sotto da un gruppo di una ventina di kamikaze in grado di pilotare aerei bomba. I talebani avanzano, non mollano, crescono, si prendono città, villaggi, munizioni, spalleggiati da quella che chiamiamo Al Qaida, cioè gli assassini dell’11 settembre, i violentatori dell’umanità. I nostri soldati sono lì per fermare loro. Per limitare un’avanzata che non è solo nel territorio afghano. Se i talebani e i loro amici terroristi vincessero in un posto che consideriamo lontano, ce li troveremmo da noi. Subito. Perché vogliono tutto. Non si fa un passo indietro, non si può. Non si può andar via prima di finire un lavoro. L’Afghanistan democratico è un’utopia, magari. L’Afghanistan pacificato pure. L’Afghanistan normalizzato non lo è. Senza terrorismo, senza Al Qaida. Com’era, come è stato. Chiedetelo a un militare, a uno dei colleghi dei sei parà morti: piangerà adesso, poi si rimetterà la mimetica per dare a chi non ha mai imbracciato un fucile la libertà di continuare a non farlo. Per sperare di entrare liberi nei musei, nelle stazioni, oppure salire tranquilli sui tram e nelle metropolitane. Non a Kabul, qui: Milano, Roma, Firenze, Bologna. Sotto casa.
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Messaggio  Angela Dom Set 20, 2009 10:40 pm

Stamattina ho guardato in tv l'arrivo dei caduti di Kabul. Mi ha impressionato... davvero.
Purtroppo non sono i primi... e non saranno nemmeno gli ultimi... dobbiamo farci forza, dobbiamo andare avanti... dobbiamo vincere.

Finita la diretta ho sentito il desiderio di correre... brutto segno. Per fortuna qualcuno mi ha fermato... quando la voglia di correre mi prende così... beh... lasciamo perdere... voi sapete cosa provo.

Dicono... è stato un attentato, sono cose che in guerra capitano. Sì, è vero... è qualcosa che è già successo e che succederà ancora... sappiamo che quelle bestie non sanno nemmeno combattere, sono topi di fogna che si nascondono ed escono solo allo scoperto solo per il momento della deflagrazione... sono dei vigliacchi.
La vigliaccheria fa parte del loro essere e questo ennesimo massacro ne è un'ulteriore prova.
Non affronteranno mai qualcuno a volto scoperto e soprattutto ad armi pari... ma compiranno le loro nefandezze sempre nello stesso modo... e non parlo solo di guerra ma di violenze e omicidi compiuti con una ferocia inimmaginabile.
Oggi vorrei essere capace di bestemmiare quel caz.o di "Bene" che cerco da tempo di analizzare per cercare di dare un senso alle bestialità umane.

Quello che non riesco a "digerire" è che nel mio Paese ci sia in giro qualche filo talebano che scrive sui nostri muri "-6" con l'avvallo di una sinistra che è solo capace di dire" noi siamo contro" e una chiesa (volutamente minuscolo) che definisce questi caduti "mercenari" e che non meritano una così forte commozione.
Ecco perchè della mia voglia di bestemmiare, di entrare in una qualsiasi chiesa e prendere per il colletto questa gente che non ha capito niente, di prendere a calci in culo quest'inutile Papa (troppo vecchio, troppo filosofo e troppo burattino) che non sa a tenere a freno la lingua dei suoi sottoposti.
Se ne vadano, noi non abbiamo bisogno di loro, noi non abbiamo bisogno di figure del genere. I sacerdoti dovrebbero essere i medici dello spirito e invece si stanno rivelando esattamente per quello che sono: sciacalli con la gonna.

Ho letto l'articolo di A. Sallusti che scrive :"Ora, noi non ci permettiamo di mettere becco in casa altrui, sappiamo che nella Chiesa c'è posto per tutti, anche per gli svitati, ma è chiaro che delle due l'una: o oggi, subito, vengono presi provvedimenti tali da impedire a don Giorgio di offendere i nostri morti a nome e per conto di Dio, oppure ha ragione lui e il silenzio del cardinale diventa benedizione e complicità.
Anche perché ieri il Tettamanzi ha ricevuto parole di encomio importanti. Cito testualmente: «Il capo della diocesi milanese è l'unico che ci difende, appoggiando la nostra richiesta di costruire delle moschee. Fino ad ora è stato l'unico ad avere espresso nei nostri confronti parole cristiane e rispettose della costituzione che garantisce a tutte le religioni di avere propri luoghi di culto». A sbilanciarsi in tanto ringraziamento è stato Abdel Hamid Shaari, presidente del centro islamico milanese. Vorremo poter dire altrettanto, e cioè ringraziare il nostro cardinale per aver difeso senza indugio, oltre che i diritti degli islamici, anche quelli dei nostri soldati che non sono mercenari ma che erano a Kabul mandati dal nostro Parlamento, cioè da tutti noi, in pieno rispetto del dettato costituzionale."

Come non condividere queste parole?

Poi ho pensato a Sanaa... che storia terribile. Lei aveva trovato la felicità, si era innamorata e poteva essere una splendida compagna di un uomo che l'adorava... e invece? Invece è in un obitorio in attesa di essere trasferita in Marocco.
E lì mi sono arrabbiata ancora di più.
Non voglio che venga permesso a quella gente di trasferire quei poveri resti in un paese che non è il suo.
Sanaa era ITALIANA come lo sono le sue sorelline... è ingiusto. Se avessi il potere impedirei questa ulteriore violenza... giù le mani, bastardi.
Che la madre rientri in Marocco, che suo padre si tolga la vita (visto che la "nostra" legge non lo farà) e cerchiamo di recuperare un po' di pace.
Diamo un futuro il più possibile sereno a queste bimbe... liberiamole. Almeno la morte di Sanaa, nella sua tragicità, sarà servita a qualcosa... diversamente, ci dovremo sentire tutti colpevoli e raccontare che non siamo stati capaci di tutelare nemmeno due piccole innocenti.
Questo povrebbe essere l'inizio della liberazione di tutte quelle donne che si sentono rinchiuse in un modo di vivere che limita la loro libertà.

Che brutta sensazione... sentirsi così impotente... sì, oggi mi sono sentita inutile ma forse queste mie riflessioni potranno essere lo spunto di una serena... anzi no... incazzata (oggi mi piace di più) discussione... dobbiamo elaborare un concetto nuovo di libertà... dobbiamo liberarci di loro, del loro modo di vivere... oppure "integrarli"... sì, ma alle nostre condizioni e secondo le nostre regole... che non saranno perfette ma vivaddio sono più umane delle loro.
Sul suolo italiano nessuna bambina sarà sottoposta a barbarie tipo l'infibulazione o l'imposizione di abbigliamenti che minano anche alla salute (indossare il burqa provoca, tra l'altro, una deficienza di vitamina D nelle donne che lo indossano). Queste "pratiche" non possono essere tollerate.
Questa gente amputa le dita alle donne che hanno lo smalto, negano loro il diritto allo studio, non possono uscire da sole... e le lapidano se adultere. Mentre i maschietti possono sposare e consumare il matrimonio con bambine di 8, 10 anni.... questi sono matti.
E tutto questo in nome di quel loro libro di mer.a "interpretato" da dei pazzi frustrati (imam = ignobili miserabili assassini merdosi)... noi non possiamo permettere a questi pazzi di vivere tra di noi.

Forse così... tra tanti anni... riusciremo ancora ad avere le porte delle nostre case sempre aperte... sì, quelle porte di cui ci parlava Malgher... quelle porte aperte mi affascinano... ma temo che ancora per molto, moltissimo tempo rimarranno ancora chiuse... sì, a doppia mandata.

Sto sbagliando? Sto chiedendo l'impossibile? O sto solo sognando? Se sto sognando ditemelo ORA non intendo vivere in un mondo dove la normalità è sentirsi minacciato dal prossimo.

Hina : PRESENTE!

Neda : PRESENTE!

Taraneh: PRESENTE!

Sanaa : PRESENTE!


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Messaggio  Radius Dom Set 20, 2009 11:31 pm

Non vinceranno perchè noi siamo migliori.


"Ciao ragazzi, non temete :ce la faremo. Tutti insieme. Voi lassù, i nostri là in Afghanistan e noi qui."


"Il prezzo dell'Onore" Capalpsub
Non mi sento di dire altro.

Scusate.
Radius
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