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Messaggio  Luciano Baroni Mar Gen 04, 2011 11:07 am

04 gennaio 2011

Riforme di liberazione

Davide Giacalone


La riforma dell’università è il successo più recente del governo. Un passo in avanti che sarebbe sciocco considerare risolutivo, sia per il contenuto che per la necessità di diversi decreti attuativi, di là da venire e ancora in attesa di copertura. La riforma della pubblica amministrazione è alle spalle, e anche questa è un successo del governo. Ma nella sua parte succosa, relativa al premio per la qualità, subisce il rallentamento dovuto ai rigori del bilancio. Sono due esempi di cose fatte, che solo la propaganda ottusa può denigrare, ma che solo la parimenti insulsa, e opposta, propaganda può considerare il segno che si è girato pagina. Le riforme di cui ha bisogno l’Italia, che definirei più liberatorie che liberali, non hanno ancora preso corpo.


L’opposizione sostiene che non è stato fatto nulla. La maggioranza che è stato fatto molto. Un bilancino di cui ai cittadini interessa poco e niente. La metterei in modo diverso: è mancato il segnale del cambiamento profondo, restano sospese riforme indispensabili, che dovrebbero rispondere a un complessivo disegno di modernizzazione, riduzione dell’invadenza burocratica, alleggerimento della pressione fiscale, contenimento della spesa pubblica che sia frutto di cambiamenti strutturali e non di tagli lineari (conseguenza della necessità e di una cosa che molti tendono a dimenticare: ignoranza sulla reale composizione della spesa). La sinistra ha ben poco da reclamare, perché su ciascuno dei temi decisivi assume posizioni conservatrici, quando non direttamente reazionarie.


A cominciare dalla giustizia. Non esiste alcun Paese ove possa affermarsi lo Stato di diritto nel mentre i tribunali vanno in bancarotta. Qualche volta fa capolino, sulle prime pagine, la notizia del criminale scarcerato per decorrenza dei termini, perché il giudice ha impiegato anni a scrivere la sentenza, ma è solo una punta del problema. Nei tribunali italiani s’incenerisce la certezza del diritto, che è certezza dei diritti. Se non so quando verrò pagato, se non ho la certezza che chi non rispetta i patti sarà punito, semplicemente vado ad investire altrove. Non si tratta, quindi, di una riforma destinata a regolare i conti fra giustizia e politica, ma a far tornare i conti nel mercato.


Servono: separazione delle carriere, tempi certi e sempre perentori, allontanamento dei magistrati che sbagliano, controllo di produttività. Si oppongono le toghe corporativizzate. Va detto chiaramente: la giustizia non è un affare delle toghe, ma dei cittadini. Se in questa direzione non ci si muove, e in fretta, si affonda nel pantano.


Il mercato del lavoro deve essere reso assai più permeabile. In uscita, che è doloroso, ma anche in entrata, che è virtuoso. La Fiat sta cambiando le sue relazioni industriali, mandando in soffitta la deleteria prassi della concertazione. Per farlo ha licenziato la Cgil, ma anche Confindustria. Andiamo avanti in questo modo, sotto la pressione degli investimenti che altrimenti non si faranno e delle fabbriche che altrimenti chiuderanno, o ci mettiamo, tutti, nella condizione di cogliere le opportunità offerte da mercati ed economie che crescono più che da noi? Farlo significa anche dire ai giovani che essi non sono degli esclusi destinati a pagare le pensioni degli altri, mentre non ne avranno una propria.


Abbiamo un fisco opprimente e dispotico. Paghiamo troppe tasse e troppi le evadono. Anziché rimediare, anziché alleggerire il peso fiscale sulla produttività, si continua a ritenere tutti i contribuenti disonesti, consegnando al fisco il diritto d’incassare subito anche quel che il cittadino contesta. Risultato: gli onesti pagheranno e saranno svillaneggiati, i disonesti se ne faranno un baffo. Non ha senso, oltre ad essere abominevole. Certo, esiste il debito pubblico, ma è follia pensare di soddisfarne i bisogni spremendo i produttori di ricchezza, laddove si dovrebbe essere capaci di strangolarne i dilapidatori. Lo Stato, insomma, deve partire dal riformare sé stesso e la sua spesa, se vuole avere credibilità.


La grande riforma di liberazione deve portare più mercato nello Stato e offrire più mercato a quei servizi pubblici che funzionano. Non si tratta (solo) di privatizzare, ma di far entrare la cultura della produttività e della economicità in ogni stanza pubblica, anche usando i privati.


Una catena non è composta da tanti anelli, ma da anelli legati fra loro, rispondenti ad una sola logica. Questa è la rivoluzione alla quale lavorare, anche per spezzare le catene del passato.
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Messaggio  Luciano Baroni Sab Gen 08, 2011 9:57 am

Intervista allo storico Ruggero Guarini: "Oggi il vero grande problema è la morte della meraviglia"




Una delle mie penne preferite Guarini :-)


"(...) Gli antichi riconoscevano la costituzione enigmatica della vita. Oggi, invece, il senso del mistero è al collasso: non si riesce a vedere il mistero da nessuna parte. Non ci si stupisce più di nulla, nemmeno di svegliarsi la mattina. Il vero grande problema è la morte della meraviglia. (...) La mia generazione ha custodito almeno una briciola di senso del sacro. Che significa fare un’esperienza, semplicissima e alta al tempo stesso, che è quella della pura e semplice gratitudine del fatto miracoloso di esserci. Un tempo, lo stupore era un tratto comune a tutti: credo non ci fosse un solo uomo in Europa per il quale la proposizione più importante di Leibniz non fosse comprensibile. Mi riferisco all’affermazione con cui ha posto la domanda metafisica fondamentale: «Perché esiste qualcosa anziché il nulla?» (...)".




Tracce N.1, Gennaio 2011


L'INTERVISTA - IDOLATRIE MODERNE
Il collasso del mistero


Alessandra Stoppa


È «il culto delle cose umane». I giudizi tronfi che hanno fatto del suicidio di Monicelli un atto di coraggio. La sicurezza dell’ottimismo progressista. E la «superstizione laicista», che si è dimenticata del dubbio di Sofocle... Lo scrittore RUGGERO GUARINI racconta l’egolatria da pavoni che prende il posto della gratitudine. «Quella di svegliarsi la mattina»

A sentir parlare Ruggero Guarini, pensi a quanto tutto fosse già racchiuso in una parola scritta duemila e quattrocento anni fa. To deinotaton. Uno dei termini più ambigui con cui è stato definito l’uomo. La sua traduzione ha diviso gli studiosi nei secoli; Guarini la prende da Heidegger: «Nulla di più inquietante dell’uomo s’aderge». Primo coro dell’Antigone di Sofocle. Lo scrittore napoletano ripassa a voce alta i versi della tragedia greca. L’uomo che varca il mare. Che doma le fiere. Mai sprovvisto davanti a ciò che lo attende. «Padrone assoluto dei segreti della tecnica... Ha trovato rimedio a mali irrimediabili...». Ma allora perché Sofocle aveva «uno sguardo allarmato sull’uomo?». Fra tutti gli esseri, il più inquietante, scrisse. Ne parlò come di un prodigio, insieme mirabile e terribile. Guarini si risponde da solo: «Perché vedeva già che l’uomo non si sarebbe fermato davanti a nulla». Dice che Sofocle viveva un dubbio: «Non dava per scontato che tutto ciò che è possibile all’uomo è bene. Oggi, questo dubbio, non lo si ha più».
È lo stesso motivo per cui lui si è infuriato davanti allo sproloquio di commenti che hanno riempito i giornali sul suicidio di Mario Monicelli. «Giudizi tronfi e sicuri». Non c’è niente che lo innervosisca di più. Hanno detto che quello del regista è stato «un atto di libertà», «una grande dimostrazione di coraggio», che «lo ha ringiovanito di 50 anni». E tanto altro. Ma «come ci si può permettere di parlare del presunto coraggio di un gesto inesplicabile?». Un’arroganza. Che per lui non è un problema di forma, né di etica o di idee politiche, ma ha a che fare direttamente con «il collasso del senso del mistero». E non filosofeggia. Parla dello «svegliarsi la mattina senza stupirsene più». Facendoti pensare a quella richiesta, affidata ad alcuni suoi versi scritti più di dieci anni fa, e che sembrano una preghiera: «Infine chiunque tu sia / di ancora stupirmi non sazio, / di non avermi ancora ti ringrazio / buttato via».

Di fronte al suicidio di Monicelli, lei ha detto: «In certi commenti vedo la totale mancanza di pietas, dell’elemento religioso della vita. Mentre si tratta di un momento dell’esserci umano che esige misericordia e silenzio». Che cosa intende per «elemento religioso della vita»?
Una cosa semplice, l’umiltà di riconoscere che siamo dipendenti da forze superiori a noi. Questa umiltà, il riconoscimento di questa assoluta evidenza, si sono perduti. E lo si vede, ad esempio, nella sicurezza con cui si scodellano giudizi così tronfi, fino ad arrivare a quel grottesco “elogio” del suicidio del povero Monicelli. È un’idolatria demenziale quella che spinge a sdottoreggiare così.

Perché idolatria?
Certe sciocchezze si possono dire solo se si è deciso di anteporre a tutto la propria ragione, il proprio ego. È un’idolatria oggi diffusa un po’ dovunque, ma in modo speciale in Europa e nel nostro Paese, dove si esprime in molte posizioni, insieme comiche e burbanzose, del demi-monde culturale italiano. Credo che oggi non ci sia nulla di più rozzo e superstizioso del sentimento di fatuo, spensierato orgoglio che contraddistingue il laicismo italiano.

Da dove viene questo “orgoglio”?
La radice è quella che chiamerei egolatria. Da noi domina una cultura centrata sul culto dell’uomo, che si vuole - come Dio - causa sui. Per questa cultura è fondamentale riconoscere all’uomo il diritto e la capacità di determinare se stesso. Proprio questo è il seme ultimo di quella superstizione laicista che fomenta la veemente sicurezza con cui si sostengono molte battaglie, a mio avviso semplicemente empie: fecondazione in vitro, matrimoni gay, adozioni per gli omosessuali... Fino a quell’aggressione al linguaggio e al simbolico che è l’abolizione - nella legislazione familiare spagnola - dei termini e dei concetti di “padre” e “madre”. Quale stolta stravaganza! Il fatto che ormai si tende ad accettare tutto questo senza batter ciglio sottintende l’idea che sia bene dire sì a tutte le possibilità che sono in mano all’uomo. E questo trova una delle sue forme più diffuse nello scientismo. Che non è soltanto un giusto e razionale apprezzamento delle possibilità che vengono date dalla scienza.

E che cos’è?
Non c’è dubbio che l’umanità attende di approfittare di tutte le potenzialità che la scienza e la storia danno: ma chi l’ha detto che l’accettazione cieca di tutto il “possibile” - scientifico, tecnico, storico - sia necessariamente un tratto positivo? E non, invece, fatale? Persino i grandi pensatori pre-cristiani, come Sofocle, avevano dubbi seri: lo sguardo allarmato di Sofocle non colpisce tanto l’homo faber come tale, e forse nemmeno le possibilità dischiuse dalle sue capacità: colpisce la sua fede cieca nella bontà dei risultati della sua azione.

Intende questo quando parla di «culto dell’uomo»?
Stato, Nazione, Partito, Masse, Storia, Sesso... Sono solo alcune delle tante “cose umane, troppo umane” che negli ultimi due secoli sono state venerate come idoli e difese con una furia che si è spesso rivelata la caricatura di una fede religiosa. In questo il laicismo italiano è diverso dalla cultura laica di altri Paesi. In quelli anglofoni, per esempio, nemmeno atei e miscredenti vivono immersi in una cultura che li istiga, come accade qui, a idolatrare la Storia o lo Stato... Io credo che una delle tragedie della cultura italiana, anche di quella “alta” o che si crede tale, è il fatto di essere contraddistinta appunto da un elemento di storiolatria. Le cui radici vanno dal materialismo storico marxista allo storicismo assoluto crociano in salsa liberale. Il progressismo italiano sacralizza cose umane. Ne è un esempio la nostra Costituzione, considerata intoccabile.

Che cosa c’entra con questo il sentimento religioso, l’umiltà di cui parlava prima?
Stiamo parlando di temi di fronte a cui l’uomo dovrebbe essere dubbiosamente umile. Invece, non sono nemmeno più sentiti e considerati come problemi. Tanta sicurezza porta a posizioni tragicamente superficiali. Che oggi è aggravata da una novità.

Quale?
Fino a qualche tempo fa, anche molti fra coloro che aderivano al diffuso ottimismo progressista del nostro tempo sospettavano che la ragione non bastasse a giustificare questa loro fiducia. Oggi, invece, è tutto ovvio e pacificato: ciò di cui prima si riconosceva la problematicità, oggi è dato per scontato e inoppugnabile.

Ma che cosa permette a lei di mantenere quella posizione di “umiltà”?
Non so rispondere fino in fondo a questa domanda. Di certo contano i fondamenti dell’educazione che ho ricevuto. Che è l’educazione ricevuta da tutta la mia generazione, in cui sono confluiti due elementi principali: il cristianesimo - che ci raggiungeva da tante strade diverse - e uno studio serio della letteratura pre-cristiana, che è anch’essa uno straordinario giacimento di esperienze religiose. Del resto, una delle più grandi imprese pedagogiche dell’Europa cristiana fu la ratio studiorum dei gesuiti, che all’apprendimento della tradizione cristiana affiancò lo studio dei classici pagani.

Perché un’educazione così risponderebbe all’“orgoglio” del vuoto culturale di oggi?
In quei fondamenti, studiati seriamente, non è possibile trovare nulla della spensierata sicumera idolatrica del progressismo moderno. Perché gli antichi riconoscevano la costituzione enigmatica della vita. Oggi, invece, il senso del mistero è al collasso: non si riesce a vedere il mistero da nessuna parte. Non ci si stupisce più di nulla, nemmeno di svegliarsi la mattina. Il vero grande problema è la morte della meraviglia.

Lei vive questo stupore?
La mia generazione ha custodito almeno una briciola di senso del sacro. Che significa fare un’esperienza, semplicissima e alta al tempo stesso, che è quella della pura e semplice gratitudine del fatto miracoloso di esserci. Un tempo, lo stupore era un tratto comune a tutti: credo non ci fosse un solo uomo in Europa per il quale la proposizione più importante di Leibniz non fosse comprensibile. Mi riferisco all’affermazione con cui ha posto la domanda metafisica fondamentale: «Perché esiste qualcosa anziché il nulla?». Oggi, persino nella preghiera, la dimensione della “richiesta” ha preso il sopravvento su quella della stupita gratitudine.

Che cosa mette a rischio lo stupore?
La banalizzazione universale. Dalla quale i rappresentanti del laicismo italiano sono “parlati”. Non sono loro a parlare, non parlano da sé, sono “parlati” dai pregiudizi della superstizione moderna. Che tradisce una paura. Come abbiamo visto nel caso di quei commenti, che hanno la presunzione di sapere cosa possa accadere nell’animo di un uomo che si toglie la vita e pretendono di applicare a un evento così misterioso i miseri concetti della loro ideologia: libertà, scelta, coraggio... Questa fenomenologia ha a che fare con la paura e con la vanità. Per questo, dopo la morte di Monicelli, mi è venuta l’immagine dei “pavoni suicidari”. Che fanno la ruota sulla pubblica scena con le penne dei suicidi altrui. Questa vanità, l’egolatria prende il sopravvento quando si pensa che la storia abbia liquidato una volta per tutte il senso del sacro: è un processo di estinzione fomentato dal movimento della modernità. Che in Italia assume forme più gravi che altrove. Fra cui anche una sempre maggiore riluttanza della Chiesa, o quanto meno di tanti suoi preti, a parlare di quelle “cose ultime” che nella tradizione catechistica erano chiamate novissimi.

La perdita del senso del mistero ha un legame con quello che il recente rapporto del Censis ha fotografato come “assenza del desiderio”?
Credo di sì. Perché proprio la sfrenata voglia di essere - come dice un’orribile espressione che suona come un imperativo - “al passo con i tempi” è ciò che va contro il desiderio. Anzi, è uno schiacciamento del desiderio, una specie di negazione, la sua soppressione a vantaggio di un culto della conformità allo spirito del proprio tempo. Che cosa vuol dire infatti essere “al passo con i tempi” se non essere, sic et sempliciter, dei perfetti conformisti? Nella Russia staliniana voleva dire approvare i gulag. Nella Germania nazista, i lager... È esattamente il contrario del desiderio: se un uomo è abitato da un desiderio vero, ha in sé qualcosa che tende sempre a resistere o a contrapporsi allo spirito del tempo.

Perché?
Perché in ogni desiderio si afferma un legame con qualcosa di superiore. Basti pensare a questo: la qualità del tempo presente, la qualità di un qualsiasi momento storico, come la si può giudicare? C’è bisogno di confrontarla con qualcos’altro. Con che cosa? Non solo con il passato. Ma con qualcosa di superiore. Che non può esserci offerto dalla semplice lettura del presente e del passato.


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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Ecco, qui ce ne sono due interessanti, da "scuola".

Messaggio  Luciano Baroni Mer Gen 12, 2011 2:32 pm

http://linkati2.files.wordpress.com/2010/08/la-leggeper-tutti.doc
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Messaggio  Luciano Baroni Dom Gen 16, 2011 1:59 am

Garantismo svenduto

di Vito Schepisi

Una volta nella sinistra in Italia emergeva un’area di contestazione verso tutto ciò che poteva essere riferito al conformismo, alle tradizioni, ai valori nazionali. Negli ambienti liberali si seguiva con interesse la demolizione dei luoghi comuni, delle ritualità e si comprendevano persino le ragioni di una necessità rivoluzionaria che sbloccasse le rendite di posizione, le caste, i baronati, gli abusi e le discriminazioni.
Nel distinguersi, si pensava alla sinistra come a uno spazio in cui si formavano gli opportunisti e si strumentalizzavano le carenze e le necessità delle popolazioni, e dove si cavalcavano i bisogni ed i diritti negati per trarne vantaggi politici o sindacali. In molte circostanze, si è pensato che la sinistra coltivasse il malessere per poterlo canalizzare in politica e sfruttarlo. Ricordiamo il “tanto peggio, tanto meglio” di Togliatti. In tanti pensavano che la sinistra italiana fosse diretta da centrali di controinformazione internazionale, per minare la compattezza dell’occidente libero, e che, nel periodo della guerra fredda, la sinistra comunista lavorasse per favorire le mire imperialiste dell’espansionismo sovietico.

Le sintesi, però, portavano anche a pensare che, piuttosto per opportunità e non per scelta, la sinistra fosse inconsapevole portatrice di alcune ricette dell’anticonformismo istituzionale e del disconoscimento di qualsivoglia tentativo di introduzione di gestione di poteri assoluti da parte di servizi o di ordinamenti dello Stato (polizia, magistratura, finanza, editoria).
Si è pensato che la sinistra prestasse grande attenzione verso tutte quelle garanzie che nelle democrazie liberali sono a presidio dell’imparzialità della gestione dei poteri nell’ambito della vita civile dei cittadini. E dalla percezione di una sinistra garantista, emergeva anche quella di pensare che fosse contraria, per scelta, per opportunità, per formazione, per principio, all’ordinamento giurisdizionale inteso come una casta autonoma, priva di riferimenti con la società, di assonanza con il senso comune e di collegamenti con il sentimento popolare.

La sinistra fino all’inizio degli anni 90 ha usato il garantismo giudiziario come un proprio distintivo di riconoscimento. Mai la sinistra avrebbe acconsentito, senza gridare al complotto, che un Organo Istituzionale, quantunque supremo come la Corte Costituzionale, potesse sottomettere la politica e le scelte del Parlamento al giudizio e alle limitazioni di un servizio dello Stato, benché autonomo.
Dinanzi al ribaltamento dei principi, però, non può reggere solo l’antagonismo a Berlusconi, come alcuni provano a sostenere. Non si può, infatti, oggi in Italia pensare di rispolverare i principi del male assoluto che giustifichino le soluzioni assolute. La democrazia ha ragione di essere se la sovranità popolare mantiene la sua supremazia e se il Parlamento, espressione del popolo, abbia facoltà di legiferare senza subire ipoteche e ricatti.
Non è pensabile una democrazia ove un magistrato, se non gli va bene una legge, si rivolge alla Consulta - dove sa che c’è una maggioranza che è espressione politica contraria a quella che ha approvato la legge - per farla cassare. Non può che destare inquietudine un Organo Istituzionale che si cimenti a mettere sotto tutela il Parlamento.

E’ cambiata la sinistra o è mutato lo scenario politico? Sono cambiati i personaggi o è mutata la strategia della sinistra, dopo aver acquisito il controllo del potere giudiziario?
E’ evidente che il presunto garantismo della sinistra sia stato svenduto. La sinistra riscuote un’attività distratta e assolutoria per la sua parte, che diventa, invece, inquisitoria e intimidatoria verso gli avversari politici, e ricambia con l’azione di freno verso ogni tentativo di riforma dell’amministrazione giudiziaria. E’ almeno dal famoso decreto Biondi del 1994 che ogni tentativo di intervenire su temi che riguardino la giustizia e il ruolo dei magistrati e ogni tentativo di modificarne i privilegi, di intervenire sulle carriere, di modificare l’impianto organizzativo della giustizia cozza contro una barriera formata dall’alleanza tra magistratura e sinistra.

“La Magistratura è la più grave minaccia allo Stato Italiano”. L’avrebbe detto D’Alema all’ambasciatore USA, stando a quanto rivelato da Wikeleaks. Peccato che per l’unica cosa verosimile detta dal leader PD ci sia stata poi la smentita!


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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Lettera di Sergio Marchionne.

Messaggio  Luciano Baroni Dom Gen 16, 2011 3:20 pm

domenica 16 gennaio 2011, 08:00


L'intervento / Marchionne: cari operai, vi accorgerete che è valsa la pena votare sì


Siamo lieti che la maggioranza dei lavoratori di Mirafiori abbia compreso l’impegno della Fiat per trasformare l’impianto in una fabbrica di livello internazionale. Siamo lieti perché con il loro voto hanno dimostrato di avere fiducia in se stessi e nel loro futuro. Non hanno scelto soltanto di dire sì a una nuova possibilità per Mirafiori, quella di lavorare e competere tra i migliori. Hanno scelto di prendere in mano il loro destino, di assumersi la responsabilità di compiere una svolta storica e di diventare gli artefici di qualcosa di nuovo e di importante. In un Paese come l’Italia, che è sempre stato legato al passato e restio al cambiamento, e il referendum in parte lo ha dimostrato, la scelta di chi ha votato sì è stata lungimirante. Rappresenta la voglia di fare che si oppone alla rassegnazione del declino. Rappresenta il coraggio di compiere un passo avanti contro l’immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedano.

Sono sempre stato molto orgoglioso di quello che Mirafiori rappresenta per la Fiat, come custode della tradizione industriale della nostra azienda e del nostro Paese, e anche per quello che ha dimostrato di saper fare. Mirafiori e la gente che ci lavora non si è fatta scoraggiare quando, nel 2004, erano in tanti a profetizzare la fine e la chiusura dell’impianto. Insieme abbiamo strappato lo stabilimento alla desolazione, abbiamo ridato dignità e prospettive alla fabbrica. La maggior parte delle nostre persone non si sono fatte condizionare dalle tante accuse che ci sono piovute addosso, dagli attacchi che sono stati fatti in modo strumentale sulla loro pelle, ma hanno scelto di stare dalla parte di chi si impegna, di chi intende mettere le proprie qualità e la propria passione per fare la differenza.

Questa è la migliore risposta alle bugie e alle esasperazioni degli ultimi mesi. Dicendo sì all’accordo, hanno chiuso la porta agli estremismi, che non portano a nulla se non al caos, e l’hanno aperta al futuro, al privilegio di trasformare Mirafiori in una fabbrica eccellente. Mi auguro che le persone che hanno votato no, messe da parte le ideologie e i preconcetti prendano coscienza dell’importanza dell’accordo che salvaguarda le prospettive di tutti i lavoratori. Il piano per questo stabilimento è molto ambizioso.
La società che verrà costituita tra Fiat e Chrysler ci permetterà di installare a Mirafiori una nuova piattaforma per costruire Suv di classe superiore, sia per il marchio Jeep sia per l’Alfa Romeo, da esportare in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti. Questo ci consentirà di raggiungere un livello di produzione molto elevato, fino a 280mila unità l’anno, aprendo anche la strada a una possibile crescita dell’occupazione.

L’accordo che rappresenta la base per realizzare tutto ciò - quell’accordo che è stato al centro di così tante polemiche - serve solo a far funzionare meglio la fabbrica, senza intaccare nessun diritto. Non penalizza i lavoratori in nessun modo e mantiene inalterate tutte le condizioni positive che sono previste non solo dal contratto collettivo ma anche da tutti i trattamenti che la Fiat nel tempo ha riconosciuto alle proprie persone.

L’organizzazione del lavoro è in realtà la stessa che a Mirafiori si sta sperimentando da più di due anni e che tiene conto del grado di affaticamento dovuto al tipo di attività svolta. L’introduzione dei 18 turni comprende quello del sabato sera che è il più disagiato. Per questo abbiamo concordato che, pur essendo sempre retribuito, venga effettuato solo se c’è una reale necessità e che comunque, in questo caso, sia pagato come straordinario. Il pieno utilizzo dei 18 turni permetterà, inoltre, di aumentare i salari di circa 3.500 euro l’anno. Abbiamo anche tenuto conto di un’altra esigenza, relativa al lavoro straordinario. Sapendo che non sempre una persona può essere disponibile, abbiamo previsto la possibilità di sostituire fino al 20% dei lavoratori che non possono fare straordinari. Rivedere il sistema della pause, inoltre, riducendole a 30 minuti e monetizzando la differenza, ci permette di adeguarci a quello che succede nelle fabbriche del resto d’Europa e del mondo.


Per quanto riguarda la questione delle malattie, su cui si sono dette tante assurdità, l’accordo prevede semplicemente di monitorare il tasso di assenteismo, per evitare eventuali abusi. Sarà una commissione congiunta con il sindacato a valutare caso per caso il non riconoscimento dell’indennità a carico dell’azienda. La verità è che questa clausola serve soprattutto a richiamare l’attenzione sul problema, a smuovere le coscienze e il senso di responsabilità e mi auguro che non venga mai applicata. Infine, abbiamo semplificato le voci retributive, cosa che porterà maggiore chiarezza nel leggere la busta paga ed avrà anche un effetto positivo sul salario in caso di lavoro straordinario o turnazione, perché le maggiorazioni verranno applicate sulla paga base, che è più elevata rispetto agli attuali valori del minimo contrattuale.

Come la maggior parte delle nostre persone ha compreso, non c’è nulla di eccezionale nell’accordo per Mirafiori, se non l’occasione di rilanciare la fabbrica, di darle il ruolo che merita sulla scena internazionale. Le critiche che abbiamo ricevuto sono state ingiuste e spesso frustranti. Quando vedi che i tuoi sforzi vengono mistificati, a volte ti chiedi se davvero ne valga la pena. La maggioranza dei lavoratori di Mirafiori ha detto che vale sempre la pena di impegnarsi per costruire qualcosa di migliore.

Amministratore delegato Fiat
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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Fate voi qualche considerazione e proposte, magari ai vostri Partiti.

Messaggio  Luciano Baroni Dom Gen 30, 2011 2:09 pm

http://www.ilgiornale.it/interni/i_loro_sbagli_ci_costano_400_milioni_pero_magistrati_non_pagano_mai/30-01-2011/articolo-id=502668-page=0-comments=1


http://www.ilgiornale.it/interni/la_topica_impunita_pm_che_sequestro_luce/30-01-2011/articolo-id=502670-page=0-comments=1

La percentuale di magistrati italiani sottoposti a procedimento disciplinare nel 2008 e poi effettivamente sanzionati dall’organo di autogoverno. Tra il 2000 e il 2007 la sanzione più grave è stata applicata solamente sei volte, mentre nel triennio 2008-2010 le toghe punite sono state appena sette

Cari colleghi togati, abbiate pazienza, stavolta andate a rimpinguare i vostri indipendenti stomaci al ristorante. Si è conclusa con un appello simile l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Bologna, dove per la prima volta s’è dovuto rinunciare al rituale del buffet per giudici e giornalisti. Ne ha dato il mesto annuncio il presidente della Corte d’Appello in persona, Giuliano Lucentini: «Abbiamo voluto dare un piccolo segno di consapevolezza e partecipazione al momento che stiamo passando. Sono certo che ci comprenderete». Commovente. Tutti a dieta, governo ladro.
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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Politica e "magistratura" : due pesi e due misure ?

Messaggio  Luciano Baroni Gio Feb 03, 2011 10:56 am

giovedì 03 febbraio 2011, 08:00


[size=18]I verbali delle indagini sul G8


di Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica

Ogni volta che gli atti giudiziari che riguardano Silvio Berlusconi «volano» misteriosamente dalle stanze delle procure alle redazioni dei giornali - cosa che accade sovente - è raro che qualche politico dell’opposizione si ricordi, anche di striscio, di stigmatizzare la fuga di notizie.
Quando il Ruby-gate è esploso a mezzo stampa, per esempio, due nomi noti del Palazzo come gli ex ministri Francesco Rutelli e Antonio Di Pietro non hanno lesinato in sparate, ma dirette esclusivamente verso il Cavaliere. «Si presenti dai pm», ha tuonato l’ex sindaco di Roma, mentre il leader Idv ha chiesto direttamente le dimissioni del premier. Eppure anche loro si sono trovati dall’altra parte della barricata, come «vittime» di fughe di notizie. Ed entrambi hanno pensato bene di lamentarsene. Direttamente con i magistrati.


SE LA FUGA DI NOTIZIE NON PIACE

La doppia circostanza emerge dagli atti dell’inchiesta perugina sui lavori per il G8 alla Maddalena e sugli appalti per i «Grandi eventi». Sia Rutelli (che era il coordinatore del comitato per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia) che Di Pietro (all’epoca ministro delle Infrastrutture) sono stati coinvolti nelle indagini (ma entrambi non indagati). Tirati in ballo tutti e due dall’architetto di Anemone, Zampolini, sono finiti sui giornali per i rapporti con Balducci (Rutelli) e per presunte assegnazioni di case tramite la cricca (Di Pietro). Il leader Idv è stato anche sentito, in due occasioni, dai magistrati, come persona informata dei fatti. Rutelli, invece, ai pm perugini mandò una sua memoria. Dalle carte, viene fuori una certa insofferenza comune alla «strana coppia» per l’attenzione che la stampa aveva prestato al loro ruolo nell’indagine, la scorsa estate. Insofferenza che entrambi non esitarono a manifestare, direttamente con i magistrati.


E RUTELLI SI AMAREGGIA

Rutelli, per esempio. Lo scorso 15 giugno, il leader dell’Api spedisce una memoria alla procura di Perugia, «facendo seguito alla mia telefonata dello scorso 13 giugno», come si legge nella lettera autografa che accompagna il plico. Ma la parte più interessante è un’altra. In qualche modo, dopo che il contenuto dei verbali di Zampolini era finito sui giornali, il nome del «terzopolista» veniva dato da alcuni quotidiani come prossimo alla convocazione in procura. Rutelli mostra di non gradire. Così, dopo aver spiegato al capo della procura che la memoria già chiariva tutto (forse un modo per sostenere l’inutilità del suo interrogatorio), aggiunge: «Non posso nasconderle di non aver apprezzato il ripetuto preannuncio a mezzo stampa - da parte di non si sa bene chi - di una mia ipotetica convocazione a Perugia “come persona informata sui fatti”». Con questa seccatissima premessa, il saluto finale della lettera, «con molta cordialità», suona un po’ formale.


I DUE VERBALI DI TONINO

Anche Antonio Di Pietro si lagna, e non lo fa nel primo interrogatorio (a Firenze, il 17 maggio) ma nel secondo, quando i pm di Perugia Tavarnes e Sottani vanno in trasferta a Roma, l’8 giugno, per ascoltare ancora una volta l’ex collega. Il diverso approccio è spiegato dal «solito» architetto Angelo Zampolini, che tra prima e seconda convocazione era saltato fuori sostenendo che Balducci e Anemone avessero cercato casa a Tonino. Che, quando i magistrati gli chiedono di chiarire sui suoi rapporti con Balducci e Toro, sulle case e sulla denuncia contro Zampolini, si difende attaccando. Balducci? Lo conosceva Stefano Pedica, forse avrà chiesto lui una mano a trovare le case, spiega. I grandi eventi per i 150 anni? Nessun interesse per Isernia, anzi, molti dubbi espressi anche a Rutelli, prosegue.


IL LEADER IDV VEDE IL COMPLOTTO

Poi, per dessert, macedonia di fuga di notizie in salsa di complotto. «Voglio produrre - mette a verbale - una serie di articoli giornalistici al fine di dimostrare la strumentalità dell’accostamento del mio nome a quello della cosiddetta “cricca”. È a mio parere evidente come le dichiarazioni riportate dalla stampa e che non so se corrispondano a quelle effettivamente rese innanzi a voi, siano state diffuse agli organi di informazione e da questi divulgate al fine di creare un danno alla mia immagine di politico». Su chi le abbia diffuse (i pm, gli investigatori, gli avvocati) Di Pietro non si sbilancia. Ma toccato in prima persona strilla per il «grave danno a me recato», e chiede «Giustizia», proprio con la G maiuscola.


LUNARDI, ANEMONE E IL PAPA

Tra le carte, anche il rapporto del Ros sulle intercettazioni telefoniche tra Pietro Lunardi, Anemone e Balducci. Sono soprattutto saluti, «abbracci», appuntamenti, auguri per il capodanno. Una telefonata più insolita vede protagonisti l’ex ministro e Balducci, che uniscono due temi apparentemente poco conciliabili: i 150 anni dell’unità d’Italia e il papa. Lunardi chiama Balducci per invitarlo a un concerto, ma l’ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici non può accettare. Lunardi, però, introduce un altro argomento. L: «Senti, poi, pensavo una roba... il... Castelgandolfo, quella cosa lì per il Papa (...) non si riesce a metterla dentro ai 150 anni?». B: «Eh, guarda, ti ricordi? L’avevamo detto... io ho cominciato a farci un ragionamento e quando ci vediamo poi te lo... va bene?». L: «Sì, perché sarebbe importante».
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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Beh, sì, pertinenti.

Messaggio  Luciano Baroni Sab Feb 05, 2011 8:33 pm

http://linkati2lu.files.wordpress.com/2011/02/due-articoli-interessanti.doc
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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Ecco una parte di Storia che si fatica a leggere, in pochi hanno coraggio.

Messaggio  Luciano Baroni Sab Feb 05, 2011 11:52 pm

rubli e dollari alto tradimento del PCI nei confronti della nazione italiana.

pubblicata da Alexandros Gardossi il giorno lunedì 24 gennaio 2011 alle ore 21.59

Rubli e dollari


Gianni Cervetti, a lungo esponente di spicco del Partito Comunista Italiano e suo amministratore, scrisse che i finanziamenti sovietici al PCI erano continuati fino al 1978, poi si erano interrotti ("[1] L’oro di Mosca"). Il che dice, per testimonianza diretta ed in nessun modo smentibile che, almeno fino al 1978 i comunisti italiani ebbero soldi dai comunisti russi.

Il che dice che, almeno fino al 1978, il più grande partito comunista dell’occidente, quello italiano, dipese dai finanziamenti elargiti dal nemico politico, strategico e militare dell’Italia.

Già questo non sarebbe affatto poco, ma non è tutto.

Cervetti, che scrisse queste cose nel 1993 (sostenendo tra l’altro che tali finanziamenti sarebbero stati interrotti per volontà di Berlinguer), o mentiva o non era stato messo al corrente (il che è poco probabile) degli effettivi movimenti di capitali che dipartivano dall’Unione Sovietica verso i partiti comunisti occidentali, e che vedevano nel PCI il partito più massicciamente finanziato.

Quei movimenti, difatti, non s’interruppero affatto nel 1978, ma durarono fino alla fine del PCUS, ed almeno fino al 1991.

Esatto, avete letto bene, almeno fino al 1991.

Si pensi che nel 1992 cominciò l’opera di demolizione, per via giudiziaria, del mondo politico democratico, accusato di avere finanziato illecitamente i propri partiti democratici. Ma, nel peggiore dei casi (e niente affatto il più diffuso), quegli illeciti finanziamenti erano sporchi di tangenti.

Nessuno, invece, mosse un dito nei confronti di quel PCI che, in quello stesso momento, si finanziava con soldi sporchi di sangue.

Ci sono fatti e documenti che depongono in tal senso, vediamone alcuni.

Sergej Aristov è un magistrato russo, che da anni indaga sui tesori nascosti del PCUS, e sulla rete di complicità che hanno consentito di far uscire dall’Unione Sovietica una montagna di quattrini (nel mentre il popolo russo pativa la fame). Aristov, fra l’altro, avrebbe dovuto incontrare Giovanni Falcone, cui aveva chiesto assistenza per indagare sul versante italiano.

L’autobomba di Capaci impedì per sempre quest’incontro.

Aristov, dunque, ha da tempo appurato che i capitali venivano movimentati grazie ad una fitta rete di società di comodo, fra le quali figura l’italiana Interexpo.

La Interexpo non è certo l’unica società italiana, ma è quella cui era stato consentito di intermediare la vendita di petrolio sovietico in Italia.

Le cose funzionavano così: l’acquirente negoziava direttamente con il venditore il prezzo e la quantità di petrolio che intendeva comperare, così come la modalità di consegna e quelle di pagamento; poi, al momento di stendere il contratto compariva una percentuale da versarsi ad uno sconosciuto intermediatore che, per la verità, non aveva intermediato un bel niente.

L’acquirente non si stupiva affatto, ben comprendendo che quello era solo un sistema, messo a punto dal venditore, per far defluire capitali dove più faceva comodo. Così il contratto veniva firmato.

Non paghi del guadagno così realizzato, ai signori dell’italiana Interexpo era stato addirittura concesso, proprio negli ultimi anni di vita del PCUS e, quindi, alla fine degli anni ottanta e primi anni novanta, di pagare posticipatamente il fornitore sovietico di petrolio. E queste sono parole di Aristov: "Questa proroga da sola aveva permesso alla società italiana di ricevere, in eccedenza di guadagno, ben 4 milioni di dollari che sono stati successivamente messi a disposizione del Partito Comunista Italiano".

Ora, se i passaggi di denaro diretti dal Pcus al PCI sono stati in qualche modo documentati e resocontati, e non certo grazie agli archivi (distrutti o nascosti) dei comunisti italiani, bensì grazie a quelli sovietici, è difficilissimo stabilire quanto denaro sia affluito alle casse del partito grazie alla rete dei mediatori commerciali (fu Lenin, nel lanciare la Nep, ad elaborare lo slogan "imparare a fare il commercio", altrove, invece, si dedicò alle istruzioni per costruire i lager).

Diciamo che si può considerare prudente la stima fatta da Valerio Riva: 1.000 miliardi nel dopoguerra ("Oro da Mosca").

Inutile dire che Aristov ha regolarmente chiesto la collaborazione delle autorità giudiziarie italiane per condurre le indagini, e per ottenere che si facessero accertamenti sulle società legate al PCI. Così come il lettore non si stupirà nell’apprendere che non ha praticamente ottenuto risposta.

Lo ricordiamo, quindi, a quanti si riempiono la bocca con la collaborazione giudiziaria internazionale, a quanti si sentono feriti se le rogatorie dalla Svizzera non arrivano entro un paio di giorni.

Ecco, in questo caso era la magistratura italiana a dovere collaborare alle indagini di un collega russo, e non si è mossa una foglia. I cittadini italiani, del resto, ben sanno che i magistrati del loro paese hanno più volte dichiarato, a reti unificate e con comunicati riprodotti fedelmente, ed ossequiosamente, da tutti i giornali, che i comunisti italiani non hanno commesso reati relativi al loro finanziamento. E tanto deve bastare.

Sui finanziamenti di cui qui parliamo, nel 1990, un fascicolo venne aperto dal sostituto procuratore romano Luigi De Ficchy, prontamente trasferito all’Antimafia, che fu poi archiviato nel 1992.

Un’altra inchiesta è stata avviata nel 1994, sempre a Roma, dal magistrato Maria Monteleone, ma anche in questo caso il tutto è finito nelle amorevoli braccia dell’archiviazione.

Il lettore noterà che di questi due magistrati essi ignorano attitudini letterarie od equestri, hobbies ed atti eroici, insomma non hanno conquistato la ribalta ed il pubblico incenso, come è capitato ai loro più fortunati colleghi, destinatari d’inchieste su criminali di ben altra stazza e sociale pericolosità.

Aristov, comunque, andò avanti ed appurò che la sottrazione di ricchezze all’Unione Sovietica, ed ai suoi cittadini, a favore dei partiti comunisti d’occidente, utilizzava anche altri canali, fra cui un Fondo per l’assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra, e scoprì che ancora a partire dal 1980, anche con la firma di Gorbaciov, si autorizzava un’invio all’estero di 117 milioni di dollari.

Fra i destinatari i soliti comunisti italiani.

E questo a partire dal 1980.

Il signor Cervetti aveva scritto che tutto era finito nel 1978 (e, come si diceva all’inizio, già questo non è che non sia grave). E’ stato anche rinvenuto, negli archivi del PCUS, un documento datato 17 gennaio 1989, classificato come "rigorosamente segreto", e destinato a Vladimir Chruscev, che fino al 1991 fu il capo del KGB, e tale documento è intitolato: "Aiuti finanziari supplementari per il PCI".

Quindi, nel 1989 i finanziamenti sovietici ai comunisti italiani (segretario Achille Occhetto, vicesegretario Massimo D’Alema, direttore de l’Unità Walter Veltroni) avevano ancora una loro costanza e regolarità, al punto da istruirsi una pratica per chiedere un supplemento. Ma chi ha chiesto quel supplemento?

Dice il documento "richiesta pervenuta dalla Direzione del PCI, che aveva chiesto un aiuto finanziario supplementare di settecentomila dollari USA per l’anno 1989, destinati a saldare i debiti delle società commerciali controllate dal PCI".

Nel 1989 ancora chiedevano soldi, supplementari per giunta.

E nel 1989 i sovietici, fra di loro, in modo ufficiale, parlavano delle "società commerciali controllate dal PCI".

Questi documenti girano dal 1994, come ricordano Maurizio Tortorella e Francesco Bigazzi in un loro saggio (Bertelli Bigazzi "PCI, la storia dimenticata", Mondadori), ma nessuno ha mai smentito, nessuno ha mai detto no, non è vero.

Lasciamo stare, poi, cosa accadrebbe se si trovasse un qualche documento comprovante una richiesta di denaro proveniente da un qualche partito politico democratico italiano e destinato, che so, alla CIA. Verrebbe giù il mondo, non ci sarebbe giornale o televisione che non ne parlerebbe per pagine e pagine, ore ed ore. S’invocherebbe il tradimento della patria.

Eppure i documenti ci sono, solo che testimoniano i rapporti dei comunisti italiani, fino a pochi giorni fa, con il PCUS ed il KGB, vale a dire con i nemici della nostra democrazia. Attenzione, perché il tema è di assoluta attualità, ammesso che non si voglia giudicare attuale quel che avveniva appena dieci anni fa.

E l’attualità consiste nella ricerca che il magistrato russo sta compiendo delle altre, grandi ricchezze che sono state esportate e nascoste. I due temi, quello del finanziamento dei partiti comunisti occidentali e quello dell’occultamento di ingenti ricchezze, si legano perché in tutti e due i casi potrebbe essere stata utilizzata la stessa rete di società.

Se così non fosse come si spiega che, il 19 febbraio 1991, Vladimir Vlasov, capo della commissione socioeconomica del PCUS si rivolge a Ivan Ivasko, vicesegretario generale dello stesso partito, facendogli il seguente, drammatico quadro: "Al momento sono praticamente esaurite le risorse valutarie dell’URSS, a causa dei nostri impegni di pagamento per l’estinzione del debito estero del Paese e per i massicci acquisti all’estero di generi alimentari, beni di consumo e materie prime, accompagnati da una riduzione delle esportazioni", ma nel mentre comunica che si avvicina la bancarotta Vlasov ci tiene a precisare che "i debiti scaduti nei confronti delle società dei partiti fratelli non sembrano tanti: circa 60,4 milioni di rubli in tutto".

Non è, evidentemente, il problema più urgente, oltre tutto si tratta di società che hanno già abbondantemente lucrato grazie ai favoritismi dei comunisti sovietici, si potrebbe anche mandarli a quel paese visto che ai cittadini russi comincia a mancare da mangiare. Ma Vlasov è di avviso opposto, ed avverte che "una soluzione urgente della questione delle società amiche si impone: la loro bancarotta comprometterebbe il meccanismo di finanziamento degli stessi partiti amici e ne metterebbe a repentaglio l’esistenza".

Insomma, il PCUS si trova ad un passo dalla sua fine, i sovietici non hanno più valuta estera, ma ancora si preoccupano delle società amiche e dei partiti fratelli.

Tanto internazionalismo meriterebbe un’indagine approfondita, e forse era quella che sarebbe stata chiesta a Giovanni Falcone.

L’indagine, infine, si impone per il modo in cui Vlasov conclude il suo argomentare: "Sono stati sottoscritti con Giappone, Francia, Italia, Austria, Gran Bretagna e Grecia una serie di accordi intergovernativi, o sono state raggiunte intese sulla concessione all’URSS di crediti finalizzati all’estinzione di debiti scaduti per una somma di 1 miliardo e 211 milioni di rubli. Nei Paesi di cui sopra figurano le società dei nostri amici: così si ha la possibilità di estinguere i nostri debiti".

Dal che si deduce che mentre le democrazie occidentali accendevano linee di credito per soccorrere un popolo affamato, i dirigenti di quel popolo utilizzavano i soldi per finanziare i comunisti operanti in seno a quelle democrazie, e per creare fondi a propria esclusiva disposizione.

E non vi pare un tema sul quale indagare?

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Messaggio  Luciano Baroni Dom Feb 06, 2011 6:17 pm

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Ci sono articoli che dovrebbero servire... - Pagina 2 Empty Il senso compiuto delle cose.

Messaggio  Luciano Baroni Mer Feb 23, 2011 6:26 pm

Quirinale contro Parlamento


Scritto da Davide Giacalone
mercoledì 23 febbraio 2011


La lettera inviata dal Presidente della Repubblica, indirizzata ai presidenti delle Camere e a quello del Consiglio dei ministri, è totalmente e insanabilmente difforme da quanto stabilito dalla nostra Costituzione. Se solo disponessimo di un mondo politico non dimentico della cultura e non dedito solo alla faziosità, se solo avessimo cattedre ove siedono coscienze e non solo quiescenze, questo rilievo sarebbe oggi fatto da molte e diverse parti. Invece tutto tace, lasciando spazio al politicantismo e al conformismo tremolante.
Il Presidente della Repubblica non può mandare lettere, non può interferire con il processo legislativo, non può limitare la sovranità del Parlamento. La Costituzione descrive gli strumenti che può utilizzare, ma chiarisce anche quel che non può fare. Noi, da tempo, siamo abbondantemente fuori dal seminato costituzionale.

Il decreto legge, così detto “milleproroghe” (che già solo il nome fa orrore), fu controfirmato da Giorgio Napolitano, che ne constatò la necessità e l’urgenza. Dopo di che è passato alla competenza del Parlamento, che deve provvedere alla conversione. Il nostro processo legislativo prevede che i decreti legge, quindi norme già entrate in vigore, possano essere emendati, modificati, nel corso della conversione (si approntano poi gli strumenti per rimediare agli eventuali rapporti giuridici nati in vigenza del vecchio testo). A me non pare ragionevole, riterrei più lineare approvare o respingere quei decreti, senza poterli modificare, ma questa è un’opinione personale, restando immutata la regola. Che, oltre tutto, Napolitano conosce bene, per averla praticata da parlamentare e amministrata da presidente d’Aula. Sta di fatto che il Senato ha modificato il decreto e, con il solito cattivo andazzo, lo ha rimpinzato di norme neanche coerenti fra di loro. Il Presidente della Repubblica può, in questo caso, azionare due strumenti: a. non controfirmare; b. inviare un messaggio alle Camere, il che comporta un gesto formale e la controfirma del ministro guardasigilli. Mandare una lettera ai tre destinatari prima ricordati, curandosi di passarne immediatamente il contenuto alla stampa, non è solo irrituale, è direttamente e gravemente incostituzionale.

E, si badi bene, quello colpito non è il potere esecutivo (che s’è subito dichiarato concorde), ma quello legislativo. Quella menomata è la sovranità parlamentare. Ed è gravissimo.

Napolitano, nell’improvvida lettera, ha chiarito di non potere utilizzare il primo strumento, ovvero negare la controfirma, perché, in quel caso, il decreto sarebbe decaduto. Ma ha anche aggiunto che, da ora in poi, non si farà più di questi scrupoli. Il che rappresenta una ulteriore minaccia al Parlamento: o le modifiche ai decreti saranno concordate con il Quirinale, oppure le conversioni saranno inutili. Il governo, in un certo senso, si frega le mani, perché c’è un solo modo per assicurare al Presidente che i testi convertiti siano uguali a quelli proposti: presentarli chiusi e mettere subito la fiducia. Bel risultato, un capolavoro!

Nel merito, però, Napolitano ha ragione: il testo partorito dal Senato è un obbrobrio. Ma proprio per questo ci stava tutto un bel messaggio al Parlamento, concepito senza la stizza che trasuda da ogni parte della lettera e seguendo tutti i crismi costituzionali.

Desidero aggiungere una cosa, con presunzione e ponderazione: sono pronto a sostenere queste cose davanti a qualsiasi costituzionalista, o cattedratico vario, sicuro che nessuno potrà accampare alcuna valida tesi che porti a conclusioni diverse. Proprio per questo rivolgo ai lettori un invito, triste: guardatevi attorno, leggete, e scoprirete che queste cose, in modo così chiaro, nessuno ha il coraggio e la lucidità di dirle. E’ questo il lato davvero preoccupante, di questo lungo e straziante tramonto costituzionale.
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