Si può scrivere di Napolitano ?
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Si può scrivere di Napolitano ?
Paolo Panerai per "MF - Milano Finanza"
È costituzionale, rientra nella prassi costituzionale che il presidente della Repubblica esprima, come sta avvenendo a più riprese, sue opinioni su leggi ancora in discussione in Parlamento? La risposta della Carta costituzionale e dei maggiori esperti di diritto costituzionale è univoca: la sovranità del Parlamento non può essere violata neppure dal presidente della Repubblica, il quale ha più strumenti costituzionali per esprimere la sua critica al lavoro del Parlamento; strumenti decisivi come la possibilità di non promulgare le leggi; oppure quello di mandare messaggi al Parlamento in maniera formale.
Invece, dei tre ultimi presidenti della Repubblica solo uno, cresciuto alla disciplina della Banca d'Italia e non alla scuola dei partiti, ha agito nel pieno e assoluto rispetto della Carta: il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, che pur essendo stato uomo di parte (in Banca d'Italia, all'inizio della carriera, fu rappresentante sindacale della Cgil), durante il mandato settennale non è mai venuto meno all'obbligo di lasciare che il Parlamento lavorasse in piena autonomia, come previsto dalla Costituzione, in quanto rappresentante della volontà del popolo italiano.
MF/Milano Finanza non intende entrare nel merito delle non poche e sempre più frequenti esternazioni del presidente, Giorgio Napolitano, sulle questioni politiche e di costume. Sia pure con il rispetto dovuto e che abbiamo nei confronti della più alta carica dello Stato, non sono quelle dichiarazioni rilevanti come l'ultima che ha fatto, giovedì 11, riguardo alla legge finanziaria o decreto di stabilizzazione ora all'esame delle Camere. Titola il sempre misurato Corriere della Sera di venerdì 12: «Napolitano critica la manovra: buio sulle scelte, troppi tagli». Esattamente la tesi del suo ex partito, il Pd.
Quindi, se la terza carica dello Stato, il presidente Gianfranco Fini, ha interrotto l'autoesclusione dei suoi predecessori dal dibattito politico, arrivando perfino a creare le premesse per la crisi di governo al di fuori del parlamento, diventando da arbitro non solo giocatore ma tifoso da curva Sud, anche il capo dello Stato non sa trattenersi, ed ecco che entra a piedi uniti sul provvedimento preparato dal ministro Giulio Tremonti, a cui anche tutte le opposizioni riconoscono il merito di aver saputo tenere finora l'Italia fuori dalla crisi finanziaria che ha colpito molti Paesi assai meno indebitati.
E il presidente Napolitano ricorda nella sua esternazione che «abbiamo un debito pesante sulle spalle e dobbiamo contenere la spesa pubblica, ma non dobbiamo tagliare tutto. L'arte della politica consiste proprio nel fare delle scelte». E in realtà Tremonti scelte ne ha fatte, finora quasi tutte azzeccate. Ma al presidente Napolitano quelle dell'ultima legge di stabilità non piacciono e, prima ancora che il primo ramo del Parlamento a legiferare abbia definito un testo, ecco appunto che interviene a piedi uniti.
No, anche se la religione ipocrita della Repubblica suggerisce di parlare solo e soltanto bene del presidente della Repubblica, questa uscita il presidente Napolitano proprio non doveva farla. E se per caso l'avesse fatta per la preoccupazione che il caos politico in atto richieda una surroga del Quirinale sì da tranquillizzare i mercati, il risultato che ha ottenuto è esattamente il contrario. Se anche il presidente della Repubblica si trasforma in giocatore, il caos non può che iniziare.
E poi quel passaggio («chiunque governi...») è così poco ligio alla Costituzione, anticipando quanto potrà accadere fra qualche giorno, con il tentativo di cambio di cavallo a Palazzo Chigi, che leggendolo i mercati sono entrati ancor più in fibrillazione. E i risultati si vedono, anche se ovviamente non solo per le parole di Napolitano, che però hanno avuto l'effetto dell'ultima goccia, come ha titolato MF/Milano Finanza di venerdì 12: «Mai così alto il rischio Italia».
Provi, il presidente Napolitano, a far chiedere dal suo consigliere economico agli operatori italiani e stranieri quale è stata la loro conclusione quando le agenzie di stampa hanno diffuso le sue parole. Per comodità, quella conclusione la può anche leggere nelle righe che seguono: «Stava riesplodendo la psicosi del debito pubblico dei Paesi europei periferici, a cominciare dall'Irlanda; il differenziale fra i titoli di Stato di questi Paesi rispetto al Bund tedesco stava salendo vistosamente; le parole di Napolitano, non solo in Italia, ma in tutta Europa hanno diffuso il convincimento che allora neppure la manovra di stabilità è più stabile in Italia, perché per recuperare fondi verso quei settori che ne avrebbero bisogno non basta cambiare tagli, ma inevitabilmente vanno ridotti i tagli; è parso a tutti che anche il baluardo Tremonti stia traballando».
Quindi, al di là degli aspetti formali di costituzionalità, l'esternazione è stata in effetti più che inopportuna sul piano pratico e ora ricostituire la fiducia nei confronti della politica da Quintino Sella di Tremonti non sarà facile, essendo imminente la crisi di governo. Se i politici, di qualsiasi colore, non certo il presidente della Repubblica, avessero un minimo di amor di patria e un vero senso di responsabilità, non si preparerebbero a far esplodere la caduta del governo prima che la legge di stabilità sia approvata.
Non si ingegnerebbero (le opposizioni) a preparare l'imboscata per buttar giù Silvio Berlusconi attraverso la sfiducia al ministro Sandro Bondi, a cui viene attribuita la responsabilità del crollo della casa dei gladiatori a Pompei. Bondi non è certo il massimo di quanto si potrebbe chiedere a un ministro, ma che gli venga attribuita la responsabilità di un crollo dovuto all'incuria di chi dovrebbe materialmente tutelare il patrimonio artistico, cioè i sovrintendenti, appare più che eloquente della trasversalità che ormai connota il costume politico del Paese, con la sua massima espressione in Parlamento.
Non potendo i seguaci di Fini votare contro il governo su provvedimenti che fanno parte del programma proclamato nei suoi ripetuti discorsi dal presidente della Camera, non potendo votare contro la legge di stabilità per non essere definitivamente classificati come sfascisti, ecco cosa stanno architettando. Misera, povera Italia.
Se mai il presidente Napolitano vorrà esternare di nuovo a breve, almeno dia atto di quanto anche molta parte dell'opposizione, incluso Fini, oltre la Ue da Bruxelles riconoscono a Tremonti per la sua politica di rigore e di lotta all'evasione, perfino con il rischio di diventare ministro più illiberale del suo predecessore, Vincenzo Visco, attraverso l'utilizzo di vari strumenti di accertamento e di compilazione dei verbali introdotti dall'ex ministro del centrosinistra.
Ma l'intervento di Napolitano per criticare la legge di stabilità prima ancora che un ramo del Parlamento l'abbia approvata, non ha solo riflessi sul precipizio finanziario in prossimità del quale l'Italia è costretta a vivere da anni per il debito accumulato principalmente negli anni 70 e 80, ma finisce per legittimare anche l'abitudine dei magistrati di dare giudizi sulle leggi che il Parlamento esamina per riformare la giustizia. Anche in questo caso, i costituenti hanno previsto la via legittima per i magistrati per esprimere sul piano giuridico il loro dissenso rispetto alle leggi: rinviare le stesse alla Corte suprema, cioè la Corte costituzionale.
Una pratica più che diffusa, ma che non basta, creando ancora una volta un'invasione di campo rispetto al Parlamento. E non da parte di chi ha il dovere di informare, come i media, ma di chi, avendo un ruolo costituzionale, dovrebbe attenersi scrupolosamente a esso. In questo modo la confusione fra i vari poteri costituzionali, da quello legislativo a quello esecutivo, a quello giudiziario diventa sempre più grande. Ognuno si sente libero di comportarsi come meglio crede.
Nessuno rispetta più le regole. Il sistema Paese diventa sempre più simile a una mayonnaise impazzita. Può sembrare paradossale il richiamo al rispetto delle regole nell'imminenza della più che probabile caduta del governo, essendo assai più forti gli interessi di chi vuole cacciare Berlusconi piuttosto che salvare il Paese, anche se non pochi pensano onestamente che il Paese, appunto, si salvi cacciando l'attuale presidente del Consiglio.
Ma se solo si tornasse con la memoria ai drammatici giorni del governo guidato da Giuliano Amato, si capirebbe che tutto può essere discusso all'interno del Paese, tutto può essere bianco, nero o rosso, ma una sola cosa non è controllabile da nessuno: il processo di sfiducia dei mercati, quando lo stesso prende avvio. E questo processo è lì lì dall'iniziare.
Basta ancora una spinta e nel contesto di crisi reale di vari Paesi periferici dell'Europa, il salto del Paese nel precipizio diventerà inevitabile. Quindi, per cortesia, signori politici, signori governanti, Signor presidente della Repubblica, bocche cucite e azione inequivocabile verso il controllo della spesa pubblica e il rispetto degli impegni presi in sede internazionale. Una disciplina che, pur amando l'esternazione, il ministro Tremonti sta mettendo in atto da quando è esploso il disastro dei mutui subprime.
Non un'intervista, non una dichiarazione avventata, ma solo rigore, rigore, rigore e politica esasperata della lesina. Signor presidente della Repubblica, Lei pensa che sia preferibile un taglio anche ingiusto al posto di uno giusto, piuttosto che la caduta del Paese nel precipizio della speculazione finanziaria, che non aspetta altro che il là per poter operare (giova ricordarlo) sul più grande mercato dei titoli di stato d'Europa, cioè quello di Bot, Btp e Cct?
Basta anche un solo punto di rialzo dei tassi che lo Stato italiano venga a dover pagare per la caduta di credibilità della politica finanziaria e di bilancio del governo (e in particolare del ministro Tremonti) e a quel punto i tagli da effettuare sì che saranno insopportabili; sì che non si potrà più pensare a quali i tagli giusti, socialmente, e quelli ingiusti. Ma non si vede che cosa sta già succedendo a Londra, dopo il taglio di 500 miliardi deciso dal nuovo governo conservatore? È stata attaccata addirittura la sede del governo.
Far precipitare la fiducia dei mercati internazionali verso la politica finanziaria e di bilancio dell'Italia vuol dire innescare un processo che si sa dove comincia e non si sa dove finirebbe. Allora sì che la ricerca, le famiglie, i professori, i poveri si troverebbero in una situazione assolutamente drammatica, tanto precario (quasi miracoloso) è l'equilibrio su cui si è retto il Paese mentre Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda sono entrati sotto il giogo della speculazione.
Cari signori dei vari partiti, di maggioranza (?) o di opposizione, Signor presidente della Repubblica, per favore, non sparate sul pianista Tremonti. Può essere più o meno simpatico, può essere diventato più o meno illiberale lui che è nato liberale, ma finora è riuscito a tenere l'Italia alcuni metri lontano dal precipizio. Non basta dargliene atto per il passato. Occorre che possa farlo anche oggi che sta per cadere il governo.
P.S. Naturalmente il presidente Napolitano non poteva cancellare il suo intervento a Padova, ma rendendosi conto dell'effetto che comunque le sue parole hanno avuto, ha pensato a più di 24 ore di distanza di far diramare un comunicato nel quale sostiene di non aver mai detto (come qualcuno gli ha attribuito) di non volere i tagli. La frase riportata nella prima parte dell'articolo lo testimonia.
Ma sollecitando «l'arte della politica » a fare tagli più giusti, non ha fatto altro che chiedere meno tagli, visto che quelli previsti nella legge Tremonti sono comunque indispensabili. Cogliamo comunque il senso riparatore contenuto nel comunicato come auspicio che in futuro non ci siano comunque esternazioni esogene, specialmente su temi così delicati come la politica finanziaria e di bilancio dell'esecutivo. Di qualsiasi esecutivo, visto che non ha perso l'occasione per lasciar comprendere che ce ne possa essere uno nuovo.
__._,_.___
È costituzionale, rientra nella prassi costituzionale che il presidente della Repubblica esprima, come sta avvenendo a più riprese, sue opinioni su leggi ancora in discussione in Parlamento? La risposta della Carta costituzionale e dei maggiori esperti di diritto costituzionale è univoca: la sovranità del Parlamento non può essere violata neppure dal presidente della Repubblica, il quale ha più strumenti costituzionali per esprimere la sua critica al lavoro del Parlamento; strumenti decisivi come la possibilità di non promulgare le leggi; oppure quello di mandare messaggi al Parlamento in maniera formale.
Invece, dei tre ultimi presidenti della Repubblica solo uno, cresciuto alla disciplina della Banca d'Italia e non alla scuola dei partiti, ha agito nel pieno e assoluto rispetto della Carta: il presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, che pur essendo stato uomo di parte (in Banca d'Italia, all'inizio della carriera, fu rappresentante sindacale della Cgil), durante il mandato settennale non è mai venuto meno all'obbligo di lasciare che il Parlamento lavorasse in piena autonomia, come previsto dalla Costituzione, in quanto rappresentante della volontà del popolo italiano.
MF/Milano Finanza non intende entrare nel merito delle non poche e sempre più frequenti esternazioni del presidente, Giorgio Napolitano, sulle questioni politiche e di costume. Sia pure con il rispetto dovuto e che abbiamo nei confronti della più alta carica dello Stato, non sono quelle dichiarazioni rilevanti come l'ultima che ha fatto, giovedì 11, riguardo alla legge finanziaria o decreto di stabilizzazione ora all'esame delle Camere. Titola il sempre misurato Corriere della Sera di venerdì 12: «Napolitano critica la manovra: buio sulle scelte, troppi tagli». Esattamente la tesi del suo ex partito, il Pd.
Quindi, se la terza carica dello Stato, il presidente Gianfranco Fini, ha interrotto l'autoesclusione dei suoi predecessori dal dibattito politico, arrivando perfino a creare le premesse per la crisi di governo al di fuori del parlamento, diventando da arbitro non solo giocatore ma tifoso da curva Sud, anche il capo dello Stato non sa trattenersi, ed ecco che entra a piedi uniti sul provvedimento preparato dal ministro Giulio Tremonti, a cui anche tutte le opposizioni riconoscono il merito di aver saputo tenere finora l'Italia fuori dalla crisi finanziaria che ha colpito molti Paesi assai meno indebitati.
E il presidente Napolitano ricorda nella sua esternazione che «abbiamo un debito pesante sulle spalle e dobbiamo contenere la spesa pubblica, ma non dobbiamo tagliare tutto. L'arte della politica consiste proprio nel fare delle scelte». E in realtà Tremonti scelte ne ha fatte, finora quasi tutte azzeccate. Ma al presidente Napolitano quelle dell'ultima legge di stabilità non piacciono e, prima ancora che il primo ramo del Parlamento a legiferare abbia definito un testo, ecco appunto che interviene a piedi uniti.
No, anche se la religione ipocrita della Repubblica suggerisce di parlare solo e soltanto bene del presidente della Repubblica, questa uscita il presidente Napolitano proprio non doveva farla. E se per caso l'avesse fatta per la preoccupazione che il caos politico in atto richieda una surroga del Quirinale sì da tranquillizzare i mercati, il risultato che ha ottenuto è esattamente il contrario. Se anche il presidente della Repubblica si trasforma in giocatore, il caos non può che iniziare.
E poi quel passaggio («chiunque governi...») è così poco ligio alla Costituzione, anticipando quanto potrà accadere fra qualche giorno, con il tentativo di cambio di cavallo a Palazzo Chigi, che leggendolo i mercati sono entrati ancor più in fibrillazione. E i risultati si vedono, anche se ovviamente non solo per le parole di Napolitano, che però hanno avuto l'effetto dell'ultima goccia, come ha titolato MF/Milano Finanza di venerdì 12: «Mai così alto il rischio Italia».
Provi, il presidente Napolitano, a far chiedere dal suo consigliere economico agli operatori italiani e stranieri quale è stata la loro conclusione quando le agenzie di stampa hanno diffuso le sue parole. Per comodità, quella conclusione la può anche leggere nelle righe che seguono: «Stava riesplodendo la psicosi del debito pubblico dei Paesi europei periferici, a cominciare dall'Irlanda; il differenziale fra i titoli di Stato di questi Paesi rispetto al Bund tedesco stava salendo vistosamente; le parole di Napolitano, non solo in Italia, ma in tutta Europa hanno diffuso il convincimento che allora neppure la manovra di stabilità è più stabile in Italia, perché per recuperare fondi verso quei settori che ne avrebbero bisogno non basta cambiare tagli, ma inevitabilmente vanno ridotti i tagli; è parso a tutti che anche il baluardo Tremonti stia traballando».
Quindi, al di là degli aspetti formali di costituzionalità, l'esternazione è stata in effetti più che inopportuna sul piano pratico e ora ricostituire la fiducia nei confronti della politica da Quintino Sella di Tremonti non sarà facile, essendo imminente la crisi di governo. Se i politici, di qualsiasi colore, non certo il presidente della Repubblica, avessero un minimo di amor di patria e un vero senso di responsabilità, non si preparerebbero a far esplodere la caduta del governo prima che la legge di stabilità sia approvata.
Non si ingegnerebbero (le opposizioni) a preparare l'imboscata per buttar giù Silvio Berlusconi attraverso la sfiducia al ministro Sandro Bondi, a cui viene attribuita la responsabilità del crollo della casa dei gladiatori a Pompei. Bondi non è certo il massimo di quanto si potrebbe chiedere a un ministro, ma che gli venga attribuita la responsabilità di un crollo dovuto all'incuria di chi dovrebbe materialmente tutelare il patrimonio artistico, cioè i sovrintendenti, appare più che eloquente della trasversalità che ormai connota il costume politico del Paese, con la sua massima espressione in Parlamento.
Non potendo i seguaci di Fini votare contro il governo su provvedimenti che fanno parte del programma proclamato nei suoi ripetuti discorsi dal presidente della Camera, non potendo votare contro la legge di stabilità per non essere definitivamente classificati come sfascisti, ecco cosa stanno architettando. Misera, povera Italia.
Se mai il presidente Napolitano vorrà esternare di nuovo a breve, almeno dia atto di quanto anche molta parte dell'opposizione, incluso Fini, oltre la Ue da Bruxelles riconoscono a Tremonti per la sua politica di rigore e di lotta all'evasione, perfino con il rischio di diventare ministro più illiberale del suo predecessore, Vincenzo Visco, attraverso l'utilizzo di vari strumenti di accertamento e di compilazione dei verbali introdotti dall'ex ministro del centrosinistra.
Ma l'intervento di Napolitano per criticare la legge di stabilità prima ancora che un ramo del Parlamento l'abbia approvata, non ha solo riflessi sul precipizio finanziario in prossimità del quale l'Italia è costretta a vivere da anni per il debito accumulato principalmente negli anni 70 e 80, ma finisce per legittimare anche l'abitudine dei magistrati di dare giudizi sulle leggi che il Parlamento esamina per riformare la giustizia. Anche in questo caso, i costituenti hanno previsto la via legittima per i magistrati per esprimere sul piano giuridico il loro dissenso rispetto alle leggi: rinviare le stesse alla Corte suprema, cioè la Corte costituzionale.
Una pratica più che diffusa, ma che non basta, creando ancora una volta un'invasione di campo rispetto al Parlamento. E non da parte di chi ha il dovere di informare, come i media, ma di chi, avendo un ruolo costituzionale, dovrebbe attenersi scrupolosamente a esso. In questo modo la confusione fra i vari poteri costituzionali, da quello legislativo a quello esecutivo, a quello giudiziario diventa sempre più grande. Ognuno si sente libero di comportarsi come meglio crede.
Nessuno rispetta più le regole. Il sistema Paese diventa sempre più simile a una mayonnaise impazzita. Può sembrare paradossale il richiamo al rispetto delle regole nell'imminenza della più che probabile caduta del governo, essendo assai più forti gli interessi di chi vuole cacciare Berlusconi piuttosto che salvare il Paese, anche se non pochi pensano onestamente che il Paese, appunto, si salvi cacciando l'attuale presidente del Consiglio.
Ma se solo si tornasse con la memoria ai drammatici giorni del governo guidato da Giuliano Amato, si capirebbe che tutto può essere discusso all'interno del Paese, tutto può essere bianco, nero o rosso, ma una sola cosa non è controllabile da nessuno: il processo di sfiducia dei mercati, quando lo stesso prende avvio. E questo processo è lì lì dall'iniziare.
Basta ancora una spinta e nel contesto di crisi reale di vari Paesi periferici dell'Europa, il salto del Paese nel precipizio diventerà inevitabile. Quindi, per cortesia, signori politici, signori governanti, Signor presidente della Repubblica, bocche cucite e azione inequivocabile verso il controllo della spesa pubblica e il rispetto degli impegni presi in sede internazionale. Una disciplina che, pur amando l'esternazione, il ministro Tremonti sta mettendo in atto da quando è esploso il disastro dei mutui subprime.
Non un'intervista, non una dichiarazione avventata, ma solo rigore, rigore, rigore e politica esasperata della lesina. Signor presidente della Repubblica, Lei pensa che sia preferibile un taglio anche ingiusto al posto di uno giusto, piuttosto che la caduta del Paese nel precipizio della speculazione finanziaria, che non aspetta altro che il là per poter operare (giova ricordarlo) sul più grande mercato dei titoli di stato d'Europa, cioè quello di Bot, Btp e Cct?
Basta anche un solo punto di rialzo dei tassi che lo Stato italiano venga a dover pagare per la caduta di credibilità della politica finanziaria e di bilancio del governo (e in particolare del ministro Tremonti) e a quel punto i tagli da effettuare sì che saranno insopportabili; sì che non si potrà più pensare a quali i tagli giusti, socialmente, e quelli ingiusti. Ma non si vede che cosa sta già succedendo a Londra, dopo il taglio di 500 miliardi deciso dal nuovo governo conservatore? È stata attaccata addirittura la sede del governo.
Far precipitare la fiducia dei mercati internazionali verso la politica finanziaria e di bilancio dell'Italia vuol dire innescare un processo che si sa dove comincia e non si sa dove finirebbe. Allora sì che la ricerca, le famiglie, i professori, i poveri si troverebbero in una situazione assolutamente drammatica, tanto precario (quasi miracoloso) è l'equilibrio su cui si è retto il Paese mentre Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda sono entrati sotto il giogo della speculazione.
Cari signori dei vari partiti, di maggioranza (?) o di opposizione, Signor presidente della Repubblica, per favore, non sparate sul pianista Tremonti. Può essere più o meno simpatico, può essere diventato più o meno illiberale lui che è nato liberale, ma finora è riuscito a tenere l'Italia alcuni metri lontano dal precipizio. Non basta dargliene atto per il passato. Occorre che possa farlo anche oggi che sta per cadere il governo.
P.S. Naturalmente il presidente Napolitano non poteva cancellare il suo intervento a Padova, ma rendendosi conto dell'effetto che comunque le sue parole hanno avuto, ha pensato a più di 24 ore di distanza di far diramare un comunicato nel quale sostiene di non aver mai detto (come qualcuno gli ha attribuito) di non volere i tagli. La frase riportata nella prima parte dell'articolo lo testimonia.
Ma sollecitando «l'arte della politica » a fare tagli più giusti, non ha fatto altro che chiedere meno tagli, visto che quelli previsti nella legge Tremonti sono comunque indispensabili. Cogliamo comunque il senso riparatore contenuto nel comunicato come auspicio che in futuro non ci siano comunque esternazioni esogene, specialmente su temi così delicati come la politica finanziaria e di bilancio dell'esecutivo. Di qualsiasi esecutivo, visto che non ha perso l'occasione per lasciar comprendere che ce ne possa essere uno nuovo.
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Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: Si può scrivere di Napolitano ?
Napolitano grillo parlante a spese nostre
di Maurizio Belpietro
A differenza del suo predecessore, il quale si divertiva un mondo a fare il nonno della Repubblica e a mettere il becco su qualsiasi cosa, Giorgio Napolitano all’inizio del mandato ha mantenuto uno stile asciutto, intervenendo il meno possibile e senza mai esondare dalle funzioni che gli assegna la Costituzione, soprattutto evitando quelle prediche inutili per cui Ciampi e Scalfaro vengono ricordati. L’atteggiamento iniziale del capo dello Stato forse era dettato dall’esigenza di farsi perdonare un passato di cui non andar fieri, e che Antonio Socci qualche tempo fa su queste stesse pagine ha ricordato nei suoi passaggi fondamentali, a cominciare dalla difesa dell’invasione sovietica dell’Ungheria, la cui rivolta fu spenta col sangue di migliaia di ungheresi.
Non so se poi a un certo Giorgio Napolitano abbia giudicato di aver fatto abbastanza penitenza o più semplicemente abbia preso la mano con il nuovo incarico, divenendo disinvolto e meno attento alla forma. Sta di fatto che ultimamente il presidente ha abbandonato la misura sobria e contenuta della prima ora e non passa giorno che non abbia qualcosa da dire e lo dica con tono sostenuto.
Le più recenti esternazioni sono quelle che riguardano i tagli, materia certo non di sua competenza e dalla quale lui, che non ha mai amministrato neanche un condominio, dovrebbe tenersi rigorosamente alla larga. La politica economica è infatti di esclusiva prerogativa del governo e al Quirinale semmai toccherebbe di verificare la copertura delle leggi di spesa, così da evitare sforamenti di bilancio e la crescita del debito pubblico. Nonostante non sia affare suo, il presidente la scorsa settimana ci ha tenuto a far sapere che la riduzione degli sprechi va fatta con la testa e non a casaccio, come se Tremonti si divertisse a sforbiciare ciò che gli capita a tiro solo per il gusto di tagliare. Non contento, ieri è ritornato sulla questione: invece di difendere l’assistenza alle persone che non arrivano a fine mese, che pure ci sono, Napolitano ha spiegato che si devono conservare gli aiuti allo spettacolo e al cinema.
Ovviamente la lezione di economia non l’ha impartita ai bocconiani, ma a attori e registi sul piede di guerra perché costretti a rinunciare alle centinaia di milioni che da sempre lo Stato elargisce a pioggia a molti di loro. Che questi soldi servano a finanziare enti inutili o film che nessuno vede perché anche il distributore si vergogna a promuoverli, come ha dimostrato un’inchiesta di Libero, al capo dello Stato importa poco. A lui interessa conservare alto il proprio consenso, regalando parole che fanno contenti tutti. In fondo, non avendo la responsabilità delle decisioni e nemmeno di tenere insieme i conti pubblici, un bel discorso costa poco.
Se c’erano dubbi sulla necessità di rivedere il ruolo del presidente della Repubblica, immaginando un’eleggibilità diretta che lo sottoponga a un giudizio degli elettori, l’abuso fatto dal capo dello Stato li ha fugati.
Il Quirinale non è una specie di contropotere al governo né una sorta di Cassazione cui rivolgersi quando non si è soddisfatti delle decisioni dell’esecutivo. Secondo i padri costituenti il presidente serviva a garantire un equilibrio di poteri, non a diventare esso stesso un potere. Evidentemente una volta saliti al Colle, l’equilibrio si fa fatica a conservarlo. E questa, comunque vadano le vicende di Berlusconi, è questione da ricordare la volta che si riproporrà il tema delle riforme.
di Maurizio Belpietro
A differenza del suo predecessore, il quale si divertiva un mondo a fare il nonno della Repubblica e a mettere il becco su qualsiasi cosa, Giorgio Napolitano all’inizio del mandato ha mantenuto uno stile asciutto, intervenendo il meno possibile e senza mai esondare dalle funzioni che gli assegna la Costituzione, soprattutto evitando quelle prediche inutili per cui Ciampi e Scalfaro vengono ricordati. L’atteggiamento iniziale del capo dello Stato forse era dettato dall’esigenza di farsi perdonare un passato di cui non andar fieri, e che Antonio Socci qualche tempo fa su queste stesse pagine ha ricordato nei suoi passaggi fondamentali, a cominciare dalla difesa dell’invasione sovietica dell’Ungheria, la cui rivolta fu spenta col sangue di migliaia di ungheresi.
Non so se poi a un certo Giorgio Napolitano abbia giudicato di aver fatto abbastanza penitenza o più semplicemente abbia preso la mano con il nuovo incarico, divenendo disinvolto e meno attento alla forma. Sta di fatto che ultimamente il presidente ha abbandonato la misura sobria e contenuta della prima ora e non passa giorno che non abbia qualcosa da dire e lo dica con tono sostenuto.
Le più recenti esternazioni sono quelle che riguardano i tagli, materia certo non di sua competenza e dalla quale lui, che non ha mai amministrato neanche un condominio, dovrebbe tenersi rigorosamente alla larga. La politica economica è infatti di esclusiva prerogativa del governo e al Quirinale semmai toccherebbe di verificare la copertura delle leggi di spesa, così da evitare sforamenti di bilancio e la crescita del debito pubblico. Nonostante non sia affare suo, il presidente la scorsa settimana ci ha tenuto a far sapere che la riduzione degli sprechi va fatta con la testa e non a casaccio, come se Tremonti si divertisse a sforbiciare ciò che gli capita a tiro solo per il gusto di tagliare. Non contento, ieri è ritornato sulla questione: invece di difendere l’assistenza alle persone che non arrivano a fine mese, che pure ci sono, Napolitano ha spiegato che si devono conservare gli aiuti allo spettacolo e al cinema.
Ovviamente la lezione di economia non l’ha impartita ai bocconiani, ma a attori e registi sul piede di guerra perché costretti a rinunciare alle centinaia di milioni che da sempre lo Stato elargisce a pioggia a molti di loro. Che questi soldi servano a finanziare enti inutili o film che nessuno vede perché anche il distributore si vergogna a promuoverli, come ha dimostrato un’inchiesta di Libero, al capo dello Stato importa poco. A lui interessa conservare alto il proprio consenso, regalando parole che fanno contenti tutti. In fondo, non avendo la responsabilità delle decisioni e nemmeno di tenere insieme i conti pubblici, un bel discorso costa poco.
Se c’erano dubbi sulla necessità di rivedere il ruolo del presidente della Repubblica, immaginando un’eleggibilità diretta che lo sottoponga a un giudizio degli elettori, l’abuso fatto dal capo dello Stato li ha fugati.
Il Quirinale non è una specie di contropotere al governo né una sorta di Cassazione cui rivolgersi quando non si è soddisfatti delle decisioni dell’esecutivo. Secondo i padri costituenti il presidente serviva a garantire un equilibrio di poteri, non a diventare esso stesso un potere. Evidentemente una volta saliti al Colle, l’equilibrio si fa fatica a conservarlo. E questa, comunque vadano le vicende di Berlusconi, è questione da ricordare la volta che si riproporrà il tema delle riforme.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Ma "lui" dice di essere un "democrat" ( come Uoltere ).
L'editoriale
Maurizio Belpietro.
Giorgio Napolitano ha dimostrato ieri di non aver gradito le nostre parole di critica a proposito del suo interventismo politico. Martedì, in un editoriale, ci eravamo permessi di sostenere che il profluvio di discorsi in materie le quali, Costituzione alla mano, non gli competono, dimostra una sola cosa: ossia che del ruolo del presidente della Repubblica vi è stato nel corso degli anni un abuso e dunque una riforma per ridefinirne i compiti è più che urgente.
Non lo avessimo mai scritto. Mezzo Pd, svegliato dal lungo sonno in cui è precipitato da quando a guidarlo è Pier Luigi Bersani, è stato indotto a difendere il capo dello Stato. In rapida successione si sono espressi il presidente dei senatori Finocchiaro e il suo vice Zanda, il vicesegretario del partito Letta e il vicepresidente del Senato Chiti. Tutti più o meno con frasi che parevano un copia e incolla, in cui si definivano inaccettabili e ingiustificate le critiche al presidente. La capa del Pd a Palazzo Madama si è addirittura spinta a ipotizzare pressioni indebite sul Quirinale, accusando Libero di strumentalità politica e mettendo in dubbio il diritto di cronaca, ma ancor più quello di opinione.
Che lo stato maggiore del gruppo d’opposizione fungesse da termometro dell’umore di Napolitano lo si è capito in serata, quando il Colle, come usa fare nei momenti gravi, ha deciso di diffondere una nota ufficiale, bollando alla stregua di ingiustificabili speculazioni gli appunti al suo discorso sui tagli alla cultura e negando intenti di carattere politico, ma confermando che ogni intervento è compiuto rispettando i poteri propri del capo dello Stato. Ovviamente, siamo dispiaciuti di aver causato l’irritazione del presidente, ma purtroppo è difficile credere che Napolitano parlando ad attori e registi non alludesse all’attualità e non lo facesse per ingraziarsi gli uomini di spettacolo, i quali proprio il giorno prima avevano protestato contro la Finanziaria.
Del resto, al riguardo i titoli dei quotidiani ieri erano inequivocabili: «Non si risanano così i conti pubblici» (La Stampa); «Servono tagli rigorosi, ma senza mortificare la cultura» (La Repubblica), «I tagli alla cultura: Mortificarla non risana i conti» (Il Corriere). I colleghi hanno tutti preso un abbaglio o sono al pari nostro speculatori, anche se non si sono permessi di biasimare il comportamento del presidente della Repubblica? No, l’inquilino del Colle quelle parole le ha dette e ogni riferimento ai tagli di Tremonti era puramente intenzionale. Difficile infatti che un uomo in politica da quando aveva i calzoni corti non si sia reso conto che attaccando le misure di contenimento della spesa toccava un argomento di cui si discute in questi giorni, intervenendo a gamba tesa su una questione di pertinenza del governo.
Napolitano si è dunque pentito dopo aver parlato? Neanche quello. Semplicemente il presidente non ama che qualcuno lo riprenda, perché interpreta il proprio ruolo al pari di un sovrano, le cui parole e i cui atti non possono essere sindacati né sospettati di voler condizionare il governo. La cosa naturalmente stupisce. Innanzi tutto perché avviene il giorno dopo che il presidente del Consiglio è stato dileggiato in una trasmissione del servizio pubblico. Il conduttore di Ballarò, Giovanni Floris, ha infatti trattato Berlusconi non come il capo di un governo legittimamente eletto, ma al pari di un personaggio importuno da cui pretendere con scherno che tolga in fretta il disturbo.
Eppure per i toni usati contro il premier durante un programma Rai nessuno dell’opposizione si è lamentato né risulta che a dolersi sia stato qualche ufficio sul Colle.
Ma a stupire ancor di più è che le proteste arrivino da chi militò in un partito il quale non si fece problemi a chiedere il ricovero in manicomio di Francesco Cossiga e a far fuggire nella notte un presidente innocente come Giovanni Leone.
E, per quanto ci consta, all’epoca non parlò di «speculazioni ingiustificate», ma tacque.
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Maurizio Belpietro.
Giorgio Napolitano ha dimostrato ieri di non aver gradito le nostre parole di critica a proposito del suo interventismo politico. Martedì, in un editoriale, ci eravamo permessi di sostenere che il profluvio di discorsi in materie le quali, Costituzione alla mano, non gli competono, dimostra una sola cosa: ossia che del ruolo del presidente della Repubblica vi è stato nel corso degli anni un abuso e dunque una riforma per ridefinirne i compiti è più che urgente.
Non lo avessimo mai scritto. Mezzo Pd, svegliato dal lungo sonno in cui è precipitato da quando a guidarlo è Pier Luigi Bersani, è stato indotto a difendere il capo dello Stato. In rapida successione si sono espressi il presidente dei senatori Finocchiaro e il suo vice Zanda, il vicesegretario del partito Letta e il vicepresidente del Senato Chiti. Tutti più o meno con frasi che parevano un copia e incolla, in cui si definivano inaccettabili e ingiustificate le critiche al presidente. La capa del Pd a Palazzo Madama si è addirittura spinta a ipotizzare pressioni indebite sul Quirinale, accusando Libero di strumentalità politica e mettendo in dubbio il diritto di cronaca, ma ancor più quello di opinione.
Che lo stato maggiore del gruppo d’opposizione fungesse da termometro dell’umore di Napolitano lo si è capito in serata, quando il Colle, come usa fare nei momenti gravi, ha deciso di diffondere una nota ufficiale, bollando alla stregua di ingiustificabili speculazioni gli appunti al suo discorso sui tagli alla cultura e negando intenti di carattere politico, ma confermando che ogni intervento è compiuto rispettando i poteri propri del capo dello Stato. Ovviamente, siamo dispiaciuti di aver causato l’irritazione del presidente, ma purtroppo è difficile credere che Napolitano parlando ad attori e registi non alludesse all’attualità e non lo facesse per ingraziarsi gli uomini di spettacolo, i quali proprio il giorno prima avevano protestato contro la Finanziaria.
Del resto, al riguardo i titoli dei quotidiani ieri erano inequivocabili: «Non si risanano così i conti pubblici» (La Stampa); «Servono tagli rigorosi, ma senza mortificare la cultura» (La Repubblica), «I tagli alla cultura: Mortificarla non risana i conti» (Il Corriere). I colleghi hanno tutti preso un abbaglio o sono al pari nostro speculatori, anche se non si sono permessi di biasimare il comportamento del presidente della Repubblica? No, l’inquilino del Colle quelle parole le ha dette e ogni riferimento ai tagli di Tremonti era puramente intenzionale. Difficile infatti che un uomo in politica da quando aveva i calzoni corti non si sia reso conto che attaccando le misure di contenimento della spesa toccava un argomento di cui si discute in questi giorni, intervenendo a gamba tesa su una questione di pertinenza del governo.
Napolitano si è dunque pentito dopo aver parlato? Neanche quello. Semplicemente il presidente non ama che qualcuno lo riprenda, perché interpreta il proprio ruolo al pari di un sovrano, le cui parole e i cui atti non possono essere sindacati né sospettati di voler condizionare il governo. La cosa naturalmente stupisce. Innanzi tutto perché avviene il giorno dopo che il presidente del Consiglio è stato dileggiato in una trasmissione del servizio pubblico. Il conduttore di Ballarò, Giovanni Floris, ha infatti trattato Berlusconi non come il capo di un governo legittimamente eletto, ma al pari di un personaggio importuno da cui pretendere con scherno che tolga in fretta il disturbo.
Eppure per i toni usati contro il premier durante un programma Rai nessuno dell’opposizione si è lamentato né risulta che a dolersi sia stato qualche ufficio sul Colle.
Ma a stupire ancor di più è che le proteste arrivino da chi militò in un partito il quale non si fece problemi a chiedere il ricovero in manicomio di Francesco Cossiga e a far fuggire nella notte un presidente innocente come Giovanni Leone.
E, per quanto ci consta, all’epoca non parlò di «speculazioni ingiustificate», ma tacque.
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Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: Si può scrivere di Napolitano ?
Mutazioni quirinalizie
Scritto da Davide Giacalone
venerdì 26 novembre 2010
Giorgio Napolitano non faccia torto a sé stesso, inducendo i suoi portavoce a sostenere che mai e poi mai intendeva occuparsi dell’attuale legge finanziaria. Lo ha fatto ripetutamente, intervenendo anche sul calendario parlamentare. Possiamo snocciolare un lungo elenco d’iniziative quirinalizie fuori dal binario costituzionale. Ma non è una questione personale, e neanche un attacco all’istituzione (l’identificazione e propria delle monarchie, o dei regimi assoluti). Si deve essere capaci di guardare al nocciolo istituzionale e politico, senza esasperati personalismi. Il nostro sistema costituzionale è un motore che funzionava alimentato dal sistema proporzionale e dai partiti politici, costretto ad adattarsi, senza cambiare, all’alimentazione maggioritaria e leaderistica. Se in un motore diesel mettete la benzina non ci guadagna in scatto, si ferma. Così è successo a quello costituzionale. Non abbiamo più i partiti politici che compongono e scompongono i governi, in corso di legislatura, ma non abbiamo ancora un premierato con l’elezione diretta. Abbiamo un papocchio in cui si crede di votare il capo del governo, invece si vota una coalizione che poi si scopre (puntualmente) rissosa e divisa. E’ successo che mentre alcuni poteri costituzionali, come il legislativo e l’esecutivo, perdevano presa sull’albero di trasmissione, il Quirinale ha allargato le sue funzioni, fino a straripare.
Essendo, quello del Presidente della Repubblica, l’unico potere costituzionale al tempo stesso irresponsabile e non insidiabile, è anche quello ingigantito dal crollo dei partiti e dall’imbastardimento della politica. Il Quirinale ha sempre avuto notevoli poteri istituzionali, ma la rovina costituzionale ha gonfiato quelli politici. Fra i Presidenti del passato ce ne furono alcuni (si pensi a Giovanni Gronchi) senza alcuna vocazione notarile, anzi, decisamente interventisti. Ma dovevano sempre tenere conto o d’essere democristiani, quindi sottoposti al gioco delle correnti, o d’essere esponenti di partiti minoritari, il che suggeriva loro di non avventurarsi troppo sul terreno politico, se volevano finire il settennato. Antonio Segni non lo finì, e non solo per la trombosi (che non a caso lo colpì mentre litigava con Giuseppe Saragat e Aldo Moro), come non ci riuscì Giovanni Leone, e non perché la “macchina del fango” (si direbbe oggi) lo prese di mira, ma perché il suo partito lo lasciò esposto alle zolle umide.
Il punto di rottura arriva con Sandro Pertini, che i comunisti vollero al posto del candidato socialista, Antonio Giolitti (Napolitano s’è guardato dal ricordarlo, parlando di quel grande uomo della sinistra, che denunciò i carri armati sovietici a Budapest). Il vecchio partigiano adottò un piglio assai personale, dal contenuto piuttosto demagogico. E condusse in porto due operazioni complicate: il governo a Giovanni Spadolini e, poi, a Bettino Craxi. Con Francesco Cossiga si sarebbe dovuti tornare alla “normalità”, invece accadde l’opposto, perché si trovò al Quirinale nel mentre finiva la guerra fredda e crollava la Dc, cosa, quest’ultima, cui egli stesso collaborò. Oscar Luigi Scalfaro fu il democristiano craxiano che lasciò il suo partito e l’ex presidente del consiglio in balia del giustizialismo, pur di salvare se stesso. L’uomo della destra che avrebbe consegnato alla sinistra le chiavi d’Italia, pur di non restare fuori dall’uscio. Con Carlo Azelio Ciampi arrivò un senza partito, che, però, non fu il ritorno al tempo di Luigi Einaudi, bensì l’approdo all’Italia senza partiti. Questi quattro salti, nella padella costituzionale, hanno scodellato una presidenza apolide e autoreferente, che, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, talora supplisce ai guasti di una politica assai deficiente, o, a volerlo vedere mezzo vuoto, spesso usurpa poteri e funzioni altrui. E’ l’unico potere a poterselo permettere.
Giorgio Napolitano porta con sé un’ulteriore caratteristica: interpreta la tradizione che si oppone all’attuale sistema politico ed elettorale, ma ne è il più prezioso frutto. Non avrebbe mai potuto mettere piede al Quirinale, se non ci fosse stato il porcellum e la necessità di distribuire i pesi all’interno di una sola parte politica, anziché dell’intero sistema. Fu grazie al premio di maggioranza conquistato dalla sinistra prodiana (2006), per una manciata di voti, che uno schieramento privo di maggioranza parlamentare per reggere il governo fu capace di una maggioranza (nel diverso seggio delle Camere riunite più i rappresentanti delle regioni) per eleggere il Presidente della Repubblica. Napolitano, dunque, è tre volte svincolato: senza il proprio partito, senza la maggioranza che lo elesse, senza la legislatura che visse solo per dargli vita.
Non si arrabbi, allora, se ci capita d’essere occhiuti nel segnalarne gli sconfinamenti, perché a muovere le mani sulla tastiera è il nostro antico amore per la Costituzione, che vorremmo cambiata, non demolita. Non credo affatto che Egli ceda a tentazioni di parte, e sono convinto che detesti Silvio Berlusconi solo un capello meno di quanto detesta i suoi vecchi compagni (che gli davano sempre torto), ma è forte la spinta ad un ruolo protagonista, politico, d’indirizzo e di sanzione. Sconosciuto alla nostra Costituzione.
www.davidegiacalone.it
Scritto da Davide Giacalone
venerdì 26 novembre 2010
Giorgio Napolitano non faccia torto a sé stesso, inducendo i suoi portavoce a sostenere che mai e poi mai intendeva occuparsi dell’attuale legge finanziaria. Lo ha fatto ripetutamente, intervenendo anche sul calendario parlamentare. Possiamo snocciolare un lungo elenco d’iniziative quirinalizie fuori dal binario costituzionale. Ma non è una questione personale, e neanche un attacco all’istituzione (l’identificazione e propria delle monarchie, o dei regimi assoluti). Si deve essere capaci di guardare al nocciolo istituzionale e politico, senza esasperati personalismi. Il nostro sistema costituzionale è un motore che funzionava alimentato dal sistema proporzionale e dai partiti politici, costretto ad adattarsi, senza cambiare, all’alimentazione maggioritaria e leaderistica. Se in un motore diesel mettete la benzina non ci guadagna in scatto, si ferma. Così è successo a quello costituzionale. Non abbiamo più i partiti politici che compongono e scompongono i governi, in corso di legislatura, ma non abbiamo ancora un premierato con l’elezione diretta. Abbiamo un papocchio in cui si crede di votare il capo del governo, invece si vota una coalizione che poi si scopre (puntualmente) rissosa e divisa. E’ successo che mentre alcuni poteri costituzionali, come il legislativo e l’esecutivo, perdevano presa sull’albero di trasmissione, il Quirinale ha allargato le sue funzioni, fino a straripare.
Essendo, quello del Presidente della Repubblica, l’unico potere costituzionale al tempo stesso irresponsabile e non insidiabile, è anche quello ingigantito dal crollo dei partiti e dall’imbastardimento della politica. Il Quirinale ha sempre avuto notevoli poteri istituzionali, ma la rovina costituzionale ha gonfiato quelli politici. Fra i Presidenti del passato ce ne furono alcuni (si pensi a Giovanni Gronchi) senza alcuna vocazione notarile, anzi, decisamente interventisti. Ma dovevano sempre tenere conto o d’essere democristiani, quindi sottoposti al gioco delle correnti, o d’essere esponenti di partiti minoritari, il che suggeriva loro di non avventurarsi troppo sul terreno politico, se volevano finire il settennato. Antonio Segni non lo finì, e non solo per la trombosi (che non a caso lo colpì mentre litigava con Giuseppe Saragat e Aldo Moro), come non ci riuscì Giovanni Leone, e non perché la “macchina del fango” (si direbbe oggi) lo prese di mira, ma perché il suo partito lo lasciò esposto alle zolle umide.
Il punto di rottura arriva con Sandro Pertini, che i comunisti vollero al posto del candidato socialista, Antonio Giolitti (Napolitano s’è guardato dal ricordarlo, parlando di quel grande uomo della sinistra, che denunciò i carri armati sovietici a Budapest). Il vecchio partigiano adottò un piglio assai personale, dal contenuto piuttosto demagogico. E condusse in porto due operazioni complicate: il governo a Giovanni Spadolini e, poi, a Bettino Craxi. Con Francesco Cossiga si sarebbe dovuti tornare alla “normalità”, invece accadde l’opposto, perché si trovò al Quirinale nel mentre finiva la guerra fredda e crollava la Dc, cosa, quest’ultima, cui egli stesso collaborò. Oscar Luigi Scalfaro fu il democristiano craxiano che lasciò il suo partito e l’ex presidente del consiglio in balia del giustizialismo, pur di salvare se stesso. L’uomo della destra che avrebbe consegnato alla sinistra le chiavi d’Italia, pur di non restare fuori dall’uscio. Con Carlo Azelio Ciampi arrivò un senza partito, che, però, non fu il ritorno al tempo di Luigi Einaudi, bensì l’approdo all’Italia senza partiti. Questi quattro salti, nella padella costituzionale, hanno scodellato una presidenza apolide e autoreferente, che, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, talora supplisce ai guasti di una politica assai deficiente, o, a volerlo vedere mezzo vuoto, spesso usurpa poteri e funzioni altrui. E’ l’unico potere a poterselo permettere.
Giorgio Napolitano porta con sé un’ulteriore caratteristica: interpreta la tradizione che si oppone all’attuale sistema politico ed elettorale, ma ne è il più prezioso frutto. Non avrebbe mai potuto mettere piede al Quirinale, se non ci fosse stato il porcellum e la necessità di distribuire i pesi all’interno di una sola parte politica, anziché dell’intero sistema. Fu grazie al premio di maggioranza conquistato dalla sinistra prodiana (2006), per una manciata di voti, che uno schieramento privo di maggioranza parlamentare per reggere il governo fu capace di una maggioranza (nel diverso seggio delle Camere riunite più i rappresentanti delle regioni) per eleggere il Presidente della Repubblica. Napolitano, dunque, è tre volte svincolato: senza il proprio partito, senza la maggioranza che lo elesse, senza la legislatura che visse solo per dargli vita.
Non si arrabbi, allora, se ci capita d’essere occhiuti nel segnalarne gli sconfinamenti, perché a muovere le mani sulla tastiera è il nostro antico amore per la Costituzione, che vorremmo cambiata, non demolita. Non credo affatto che Egli ceda a tentazioni di parte, e sono convinto che detesti Silvio Berlusconi solo un capello meno di quanto detesta i suoi vecchi compagni (che gli davano sempre torto), ma è forte la spinta ad un ruolo protagonista, politico, d’indirizzo e di sanzione. Sconosciuto alla nostra Costituzione.
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Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: Si può scrivere di Napolitano ?
I tromboni della carta stampata italiana non fanno altro che ricordare a Silvio Berlusconi che, in caso di sfiducia il prossimo 14 dicembre, la palla passerà al Capo dello Stato e nessuno potrà dire niente. Rimproverano, al Cavaliere, uno scarso rispetto per la Costituzione, sacro foglio di carta che nessuno può permettersi di contestare (come ci insegna Scalfaro, il padre dei ribaltoni).
Vuole il voto? E chi lo dice? Lui ha zero poteri, zero voce in capitolo. Perché solo il Presidente della Repubblica, come una specie di oracolo, può decidere quel che sarà dell’Italia. Pretendere il ritorno alle urne è quasi volgare, per l’Italia che adora i giochi di Palazzo e di bottega, che vive di trasformismo e ribaltoni.
E allora, come la mettiamo con le esternazioni del Presidente della Camera dei Deputati, terza carica dello Stato, che quotidianamente cerca di dettare la linea al Quirinale? Non è anche questa un’ingerenza? Fini che dice “cada questo Governo e se ne faccia un altro senza passare dalle urne” non dimostra scarso rispetto per le prerogative di Napolitano? O forse al post-fascista neo terzopolista tutto è permesso? E Casini? Lui addirittura fa già i nomi dei possibili sostituti di Berlusconi: “Letta andrebbe benissimo”. A chi va benissimo? A lui e Buttiglione? E Bocchino, che del Presidente della Camera è diventato il giullare prediletto, impegnato anche a determinare i confini della futuribile maggioranza che dovrebbe materializzarsi tra due settimane? Nessuno dice niente? No. La risposta è, ovviamente, scontata.
Viviamo in un Paese dove la stranezza, l’aspetto incredibile, scandaloso, sta nel chiedere che sia il popolo sovrano a decidere da chi vuol essere governato. Un concetto che nel resto del Mondo (tranne il Myanmar, Cuba e la Nord Corea) è alla base del vivere democratico. In Italia, invece, la normalità è rappresentata dalla terza carica dello Stato, teoricamente super partes, che annuncia dall’alto del suo scranno che “il Governo è finito e il 14 dicembre lo dimostreremo”. Se questa è la normalità, noi siamo felici di essere anormali.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
l precedenti PdiR.
Ciampi non poteva non sapere
Scritto da Bartolomeo Di Monaco
Saturday 04 December 2010
E di conseguenza non poteva non sapere Oscar Luigi Scalfaro. È la teoria sempre applicata a Berlusconi. Astrusa, ma cara alla sinistra. E dunque, che sia applicata anche a Ciampi e a Scalfaro.
Che sono due santi che la sinistra ha innalzato agli onori dell’altare della Patria troppo presto. I cittadini dovranno fare come fecero contro le statue di Mussolini. Dovranno faticare le sette camicie, ma quei due dovranno essere tolti dall’elenco dei nostri numi tutelari.
Ci vorrà tanta fatica perché la sinistra continuerà a proteggerli. Le hanno reso tanti servigi! Scalfaro fu l’autore del primo ribaltone della storia. Un atto spregevole contro la sovranità popolare. Carlo Azeglio Ciampi ha fatto di tutto per inzaccherare la figura di Berlusconi.
Ricordate quella specie di rivelazione che ci propinò Eugenio Scalfari nel marzo scorso? No? Allora leggetela qui.
Poiché la pubblicazione di quelle rivelazioni non poteva non essere a conoscenza di Ciampi (siamo sempre alla famosa teoria del non poteva non sapere: vedete quanto ci porta lontano), si può capire che già allora si preparava un missile (avariato, come poi si vedrà) contro Berlusconi.
Infatti, qualche tempo dopo, a fine maggio, ecco che Ciampi insinua che Forza Italia stava preparando, nei primi anni del ’90, un colpo di Stato, sbagliando clamorosamente le date, come scrissi qui.
Tutti sappiamo come la sinistra abbia abbracciato ad occhi chiusi le insinuazioni di Ciampi e oggi, coperta di vergogna, si è chiusa nel silenzio dopo le clamorose rivelazioni dell’ex guardasigilli Giovanni Conso.
Oggi abbiamo appurato che la famigerata trattativa tra Stato e Mafia, che si era tentato di far cadere sulle spalle di Silvio Berlusconi (addirittura si diceva che fosse perfino il mandante delle stragi di Falcone e Borsellino), è avvenuta quando imperavano i due santoni della sinistra: Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro. Come tanti altri (da ultimo Fini) anch'essi hanno cercato di dare lezioni di moralità e di senso dello Stato, e invece si scopre che sotto le loro ali si è consumato uno dei più avvilenti capitoli della nostra storia. La mafia ha piegato lo Stato. Ha preteso, per far cessare gli attentati, che fossero sottratti al carcere duro centinaia di capi mafiosi. E solo quando i vari decreti furono firmati, le stragi cessarono.
Ecco che cosa si nasconde, e non solo questo ovviamente, dietro l’antiberlusconismo. Si avanzano accuse gravi e strampalate contro Berlusconi, e proprio da parte di chi ha delle responsabilità per quei fatti di cui lo si accusa.
Questi sono gli uomini della sinistra. Questa è la mentalità che si vorrebbe far tornare al potere con un’operazione di restaurazione.
Mentre l’odiato governo Berlusconi sta combattendo la mafia come nessun altro governo ha mai fatto da quando è nata la Repubblica, chi lo accusa fa parte di quella sinistra che si genuflesse timorosa e imbelle davanti alla mafia.
Gli italiani vogliono davvero che costoro tornino a governarci? Li ritengono moralmente in grado di darci lezioni di buon governo?
Se Conso non ha detto il falso, siano banditi dal nostro ricordo. Siano scritte pagine nere su di loro.
Infatti, Conso non può avere assunto (nonostante cerchi di difendere Ciampi) provvedimenti così gravi, come la sottrazione al carcere duro di centinaia di boss mafiosi, senza portarne a conoscenza il suo presidente del Consiglio, il quale a sua volta non può non avere, per gli stessi motivi, informato il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro.
In una intervista apparsa oggi sul Messaggero, così risponde Ciampi alla domanda del giornalista:
“A proposito del ’93, Lei fu informato della decisione del ministro della giustizia Conso di non rinnovare il carcere duro (41 bis) per molti mafiosi?
«Non ne ho mai saputo nulla, non se n’è mai parlato. Io fui nominato presidente del Consiglio nell’aprile del ’93, la riunione del Comitato che affrontò questi problemi è del febbraio precedente con un altro governo. D’altra parte, le mie agende sono a disposizione di tutti, non c’è traccia di incontri con Conso su quell’argomento».”
Conso ci dice però che i decreti a favore delle centinaia di boss mafiosi furono firmati a maggio e a novembre del 1993.
Per fare chiarezza, oggi si chiede che i due esimi presidenti emeriti (emeriti de che?) vengano ascoltati dalla commissione antimafia. Anzi la richiesta è insistente e non ancora evasa.
Se convocati dichiareranno di non saperne nulla? Oppure si trincereranno dietro uno sdegnoso silenzio? Faranno come fece Greganti quando si trattò di mantenere i segreti che avrebbero potuto trascinare il Pci nello scandalo di Mani Pulite?
È una pagina nera che si è voluta addossare in capo a Silvio Berlusconi. È mancato poco che lo si linciasse per strada. Ora che la verità sta venendo a galla, guai se qualcuno oserà insabbiarla.
Ho sempre avuto fiducia nel tempo galantuomo. Anche oggi, come ho cercato di dire in articoli precedenti, questa sinistra sta delirando, sta girando a vuoto, confusa e pericolosa, con l’intenzione di passare sopra il bene del Paese, pur di arrivare al potere e mandare a casa per sempre Silvio Berlusconi. Cerca di confondere le idee ai cittadini. Ha trovato Fini, che è della stessa pasta ambigua ed ipocrita, a darle una mano.
Ma le verità che stanno emergendo, sono sicuro, apriranno gli occhi a molti, e anche parecchi giovani elettori della sinistra avranno l’opportunità di ricredersi.
Altro che i festini di Berlusconi!
www.bartolomeodimonaco.it
Scritto da Bartolomeo Di Monaco
Saturday 04 December 2010
E di conseguenza non poteva non sapere Oscar Luigi Scalfaro. È la teoria sempre applicata a Berlusconi. Astrusa, ma cara alla sinistra. E dunque, che sia applicata anche a Ciampi e a Scalfaro.
Che sono due santi che la sinistra ha innalzato agli onori dell’altare della Patria troppo presto. I cittadini dovranno fare come fecero contro le statue di Mussolini. Dovranno faticare le sette camicie, ma quei due dovranno essere tolti dall’elenco dei nostri numi tutelari.
Ci vorrà tanta fatica perché la sinistra continuerà a proteggerli. Le hanno reso tanti servigi! Scalfaro fu l’autore del primo ribaltone della storia. Un atto spregevole contro la sovranità popolare. Carlo Azeglio Ciampi ha fatto di tutto per inzaccherare la figura di Berlusconi.
Ricordate quella specie di rivelazione che ci propinò Eugenio Scalfari nel marzo scorso? No? Allora leggetela qui.
Poiché la pubblicazione di quelle rivelazioni non poteva non essere a conoscenza di Ciampi (siamo sempre alla famosa teoria del non poteva non sapere: vedete quanto ci porta lontano), si può capire che già allora si preparava un missile (avariato, come poi si vedrà) contro Berlusconi.
Infatti, qualche tempo dopo, a fine maggio, ecco che Ciampi insinua che Forza Italia stava preparando, nei primi anni del ’90, un colpo di Stato, sbagliando clamorosamente le date, come scrissi qui.
Tutti sappiamo come la sinistra abbia abbracciato ad occhi chiusi le insinuazioni di Ciampi e oggi, coperta di vergogna, si è chiusa nel silenzio dopo le clamorose rivelazioni dell’ex guardasigilli Giovanni Conso.
Oggi abbiamo appurato che la famigerata trattativa tra Stato e Mafia, che si era tentato di far cadere sulle spalle di Silvio Berlusconi (addirittura si diceva che fosse perfino il mandante delle stragi di Falcone e Borsellino), è avvenuta quando imperavano i due santoni della sinistra: Carlo Azeglio Ciampi e Oscar Luigi Scalfaro. Come tanti altri (da ultimo Fini) anch'essi hanno cercato di dare lezioni di moralità e di senso dello Stato, e invece si scopre che sotto le loro ali si è consumato uno dei più avvilenti capitoli della nostra storia. La mafia ha piegato lo Stato. Ha preteso, per far cessare gli attentati, che fossero sottratti al carcere duro centinaia di capi mafiosi. E solo quando i vari decreti furono firmati, le stragi cessarono.
Ecco che cosa si nasconde, e non solo questo ovviamente, dietro l’antiberlusconismo. Si avanzano accuse gravi e strampalate contro Berlusconi, e proprio da parte di chi ha delle responsabilità per quei fatti di cui lo si accusa.
Questi sono gli uomini della sinistra. Questa è la mentalità che si vorrebbe far tornare al potere con un’operazione di restaurazione.
Mentre l’odiato governo Berlusconi sta combattendo la mafia come nessun altro governo ha mai fatto da quando è nata la Repubblica, chi lo accusa fa parte di quella sinistra che si genuflesse timorosa e imbelle davanti alla mafia.
Gli italiani vogliono davvero che costoro tornino a governarci? Li ritengono moralmente in grado di darci lezioni di buon governo?
Se Conso non ha detto il falso, siano banditi dal nostro ricordo. Siano scritte pagine nere su di loro.
Infatti, Conso non può avere assunto (nonostante cerchi di difendere Ciampi) provvedimenti così gravi, come la sottrazione al carcere duro di centinaia di boss mafiosi, senza portarne a conoscenza il suo presidente del Consiglio, il quale a sua volta non può non avere, per gli stessi motivi, informato il capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro.
In una intervista apparsa oggi sul Messaggero, così risponde Ciampi alla domanda del giornalista:
“A proposito del ’93, Lei fu informato della decisione del ministro della giustizia Conso di non rinnovare il carcere duro (41 bis) per molti mafiosi?
«Non ne ho mai saputo nulla, non se n’è mai parlato. Io fui nominato presidente del Consiglio nell’aprile del ’93, la riunione del Comitato che affrontò questi problemi è del febbraio precedente con un altro governo. D’altra parte, le mie agende sono a disposizione di tutti, non c’è traccia di incontri con Conso su quell’argomento».”
Conso ci dice però che i decreti a favore delle centinaia di boss mafiosi furono firmati a maggio e a novembre del 1993.
Per fare chiarezza, oggi si chiede che i due esimi presidenti emeriti (emeriti de che?) vengano ascoltati dalla commissione antimafia. Anzi la richiesta è insistente e non ancora evasa.
Se convocati dichiareranno di non saperne nulla? Oppure si trincereranno dietro uno sdegnoso silenzio? Faranno come fece Greganti quando si trattò di mantenere i segreti che avrebbero potuto trascinare il Pci nello scandalo di Mani Pulite?
È una pagina nera che si è voluta addossare in capo a Silvio Berlusconi. È mancato poco che lo si linciasse per strada. Ora che la verità sta venendo a galla, guai se qualcuno oserà insabbiarla.
Ho sempre avuto fiducia nel tempo galantuomo. Anche oggi, come ho cercato di dire in articoli precedenti, questa sinistra sta delirando, sta girando a vuoto, confusa e pericolosa, con l’intenzione di passare sopra il bene del Paese, pur di arrivare al potere e mandare a casa per sempre Silvio Berlusconi. Cerca di confondere le idee ai cittadini. Ha trovato Fini, che è della stessa pasta ambigua ed ipocrita, a darle una mano.
Ma le verità che stanno emergendo, sono sicuro, apriranno gli occhi a molti, e anche parecchi giovani elettori della sinistra avranno l’opportunità di ricredersi.
Altro che i festini di Berlusconi!
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Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
E' molto importante, specie dopo il Procuratore Vigna.
Giustizia
29-12-2010
Messaggi e omissioni
Si comincia a divinare quali saranno i temi degli auguri presidenziali, l’ultimo giorno dell’anno. Gara inutile, quante altre mai. Gira e rigira son sempre le stesse cose: unità nazionale, coesione sociale, attenzione agli ultimi. Nelle parole pronunciate dal Quirinale ciascuno cercherà le sfumature che più gli aggradano, lanciandole alla schiena degli avversari. Poi saltano i tappi, vanno in onda i servizi sui festeggiamenti in giro per il mondo, con una monotonia che sbeffeggia le attese di novità. Più che le parole che si diranno, a me interessano quelle che non si sono dette. Ci sono due cose, infatti, con le quali il vecchio anno si chiude e il nuovo si apre, due voragini istituzionali, alle quali il Presidente della Repubblica non sembra dedicare particolare attenzione. Forse mi sbaglio, e lo spero. Può darsi che il silenzio ufficiale sia la copertura del gran lavorio istituzionale. Da fuori, però, non sembra.
Il preoccupante smottamento è avvenuto nella oramai fangosa terra della giustizia. Due questioni ne segnalano il pericolo estremo: la condanna del generale comandate del Ros dei carabinieri, Giampaolo Ganzer, e l’imminente udienza della Corte Costituzionale. In entrambe i casi, il silenzio del Quirinale non si giustifica.
Nel luglio scorso, quando Ganzer fu condannato a 14 anni di carcere, in primo grado, quale trafficante di droga, fummo gli unici a scrivere che si sarebbe dovuto dimettere. La sua presunzione d’innocenza è intonsa, il nostro garantismo fermo, la mostruosità della sentenza, accompagnata al fatto che anche i vertici passati del Ros sono sotto processo, fin troppo evidente, ma come può dirigere un organismo di polizia giudiziaria, quindi collaborare con la magistratura, chi è stato condannato dalla magistratura stessa? E’ vero che la condanna non è definitiva, ma l’accusa è devastante, per il tipo di posto che Ganzer occupa. Lo scrivemmo noi, sottolineando che credevamo nell’innocenza, perché l’opposto sarebbe inaccettabile e distruttivo, mentre gli altri tacquero, paghi del raccontare un’ulteriore stortura: l’Arma gli confermò la fiducia. Come a dire che l’Arma la toglieva ai giudici. Capita, ora, che siano state pubblicate le motivazioni di quella sentenza e che il Corriere della Sera abbia ritenuto, in ragione di quel che c’è scritto, di suggerire l’opportunità delle dimissioni. Ed è qui che il Quirinale fa sentire la propria assenza, non certo nel merito del procedimento penale, dal quale deve tenersi totalmente estraneo. La mostruosità, difatti, è duplice: relativa sia alla permanenza di Ganzer che alla prosa delle motivazioni.
Giorgio Napolitano ha un ruolo di guida suprema, anche per le forze armate, di cui i carabinieri fanno parte. Non ha sentito il bisogno di avvertire il disagio derivante dall’idea che il capo dei Ros sia un ipotetico trafficante di droga, già condannato da un tribunale? O che un tribunale lo abbia condannato? Non c’è nulla di normale, in ciò. Non s’è accorto che i vertici dei Ros finiscono regolarmente sotto processo, sempre per reati gravissimi? Ne ha tratto una qualche impressione, relativa ai Ros, alla giustizia o a quel che crede? In ogni caso, non può limitarsi a fare l’osservatore. Nell’ordine dei lavori parlamentari non dovrebbe metter becco, ma negli equilibri costituzionali sì.
Inoltre, le motivazioni delle sentenze sono divenute un turpe genere letterario. Dovrebbero servire a spiegare perché è stata emessa una condanna o riconosciuta un’innocenza, invece sono trattati psicosociologici, infarciti di frasi fatte d’origine penale e considerazioni degne del più bieco luogocomunismo, il tutto in stile pulp. Quale presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, non ritiene di dovere intervenire? Anche per evitare ai commentatori del Corriere così detestabili abbagli, per cui va bene la condanna, ma ci si scandalizza per la motivazione.
La seconda questione riguarda la Corte Costituzionale. Anche in questo caso Napolitano non deve intervenire nel merito, ci mancherebbe, ma si sarà accorto che i giornali pubblicano anticipazioni della relazione e annunci di lettere di singoli giudici ai colleghi. Un andazzo per niente consono alla dignità istituzionale della funzione. E si sarà accorto che è invalsa la pessima e miserabile abitudine di eleggere presidenti che restano in carica qualche settimana, calpestando lo spirito e la lettera della Costituzione. Tocca a lui, al Presidente della Repubblica, intervenire, altrimenti dovrà essere il legislatore a modificare la Costituzione, per difenderla da chi dovrebbe custodirla.
Una parola, nel merito del legittimo impedimento, la aggiungo io. Credo che si vada ad una sentenza manipolativa, l’ho scritto. Ma c’è modo e modo. Una cosa è stabilire che la legittimità dell’impedimento debba essere annunciata dalla collegialità del Consiglio dei Ministri, altra che può stabilirlo, di volta in volta, il giudice di merito. La seconda cosa non è manipolativa, è una presa in giro, perché la ratio della norma (mal pensata e mal scritta) consiste proprio nel fatto che non può essere un giudice a stabilire se le cose del governo sono più o meno importanti dell’udienza. Abroghino, respingano o interpretino, ma il giochino del piccolo legislatore, a cura di signori garantiti e privi di mandato popolare, per giunta collettivamente profittatori e dimentichi (quando si tratta dei loro interessi) del Dettato costituzionale, porta male. Molto male.
Non saranno i temi degli auguri, ma mi auguro che siano quelli sui quali il Presidente Napolitano sappia meditare.
29-12-2010
Messaggi e omissioni
Si comincia a divinare quali saranno i temi degli auguri presidenziali, l’ultimo giorno dell’anno. Gara inutile, quante altre mai. Gira e rigira son sempre le stesse cose: unità nazionale, coesione sociale, attenzione agli ultimi. Nelle parole pronunciate dal Quirinale ciascuno cercherà le sfumature che più gli aggradano, lanciandole alla schiena degli avversari. Poi saltano i tappi, vanno in onda i servizi sui festeggiamenti in giro per il mondo, con una monotonia che sbeffeggia le attese di novità. Più che le parole che si diranno, a me interessano quelle che non si sono dette. Ci sono due cose, infatti, con le quali il vecchio anno si chiude e il nuovo si apre, due voragini istituzionali, alle quali il Presidente della Repubblica non sembra dedicare particolare attenzione. Forse mi sbaglio, e lo spero. Può darsi che il silenzio ufficiale sia la copertura del gran lavorio istituzionale. Da fuori, però, non sembra.
Il preoccupante smottamento è avvenuto nella oramai fangosa terra della giustizia. Due questioni ne segnalano il pericolo estremo: la condanna del generale comandate del Ros dei carabinieri, Giampaolo Ganzer, e l’imminente udienza della Corte Costituzionale. In entrambe i casi, il silenzio del Quirinale non si giustifica.
Nel luglio scorso, quando Ganzer fu condannato a 14 anni di carcere, in primo grado, quale trafficante di droga, fummo gli unici a scrivere che si sarebbe dovuto dimettere. La sua presunzione d’innocenza è intonsa, il nostro garantismo fermo, la mostruosità della sentenza, accompagnata al fatto che anche i vertici passati del Ros sono sotto processo, fin troppo evidente, ma come può dirigere un organismo di polizia giudiziaria, quindi collaborare con la magistratura, chi è stato condannato dalla magistratura stessa? E’ vero che la condanna non è definitiva, ma l’accusa è devastante, per il tipo di posto che Ganzer occupa. Lo scrivemmo noi, sottolineando che credevamo nell’innocenza, perché l’opposto sarebbe inaccettabile e distruttivo, mentre gli altri tacquero, paghi del raccontare un’ulteriore stortura: l’Arma gli confermò la fiducia. Come a dire che l’Arma la toglieva ai giudici. Capita, ora, che siano state pubblicate le motivazioni di quella sentenza e che il Corriere della Sera abbia ritenuto, in ragione di quel che c’è scritto, di suggerire l’opportunità delle dimissioni. Ed è qui che il Quirinale fa sentire la propria assenza, non certo nel merito del procedimento penale, dal quale deve tenersi totalmente estraneo. La mostruosità, difatti, è duplice: relativa sia alla permanenza di Ganzer che alla prosa delle motivazioni.
Giorgio Napolitano ha un ruolo di guida suprema, anche per le forze armate, di cui i carabinieri fanno parte. Non ha sentito il bisogno di avvertire il disagio derivante dall’idea che il capo dei Ros sia un ipotetico trafficante di droga, già condannato da un tribunale? O che un tribunale lo abbia condannato? Non c’è nulla di normale, in ciò. Non s’è accorto che i vertici dei Ros finiscono regolarmente sotto processo, sempre per reati gravissimi? Ne ha tratto una qualche impressione, relativa ai Ros, alla giustizia o a quel che crede? In ogni caso, non può limitarsi a fare l’osservatore. Nell’ordine dei lavori parlamentari non dovrebbe metter becco, ma negli equilibri costituzionali sì.
Inoltre, le motivazioni delle sentenze sono divenute un turpe genere letterario. Dovrebbero servire a spiegare perché è stata emessa una condanna o riconosciuta un’innocenza, invece sono trattati psicosociologici, infarciti di frasi fatte d’origine penale e considerazioni degne del più bieco luogocomunismo, il tutto in stile pulp. Quale presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, non ritiene di dovere intervenire? Anche per evitare ai commentatori del Corriere così detestabili abbagli, per cui va bene la condanna, ma ci si scandalizza per la motivazione.
La seconda questione riguarda la Corte Costituzionale. Anche in questo caso Napolitano non deve intervenire nel merito, ci mancherebbe, ma si sarà accorto che i giornali pubblicano anticipazioni della relazione e annunci di lettere di singoli giudici ai colleghi. Un andazzo per niente consono alla dignità istituzionale della funzione. E si sarà accorto che è invalsa la pessima e miserabile abitudine di eleggere presidenti che restano in carica qualche settimana, calpestando lo spirito e la lettera della Costituzione. Tocca a lui, al Presidente della Repubblica, intervenire, altrimenti dovrà essere il legislatore a modificare la Costituzione, per difenderla da chi dovrebbe custodirla.
Una parola, nel merito del legittimo impedimento, la aggiungo io. Credo che si vada ad una sentenza manipolativa, l’ho scritto. Ma c’è modo e modo. Una cosa è stabilire che la legittimità dell’impedimento debba essere annunciata dalla collegialità del Consiglio dei Ministri, altra che può stabilirlo, di volta in volta, il giudice di merito. La seconda cosa non è manipolativa, è una presa in giro, perché la ratio della norma (mal pensata e mal scritta) consiste proprio nel fatto che non può essere un giudice a stabilire se le cose del governo sono più o meno importanti dell’udienza. Abroghino, respingano o interpretino, ma il giochino del piccolo legislatore, a cura di signori garantiti e privi di mandato popolare, per giunta collettivamente profittatori e dimentichi (quando si tratta dei loro interessi) del Dettato costituzionale, porta male. Molto male.
Non saranno i temi degli auguri, ma mi auguro che siano quelli sui quali il Presidente Napolitano sappia meditare.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Niente auguri, mezzopresidente.
Gli ipocriti e gli smemorati.
Come ogni 31 dicembre, tanto per farci finire l’anno vecchio con il cenone che ci va di traverso ed iniziare l’anno nuovo con il vomito, la tv ci trasmette, a reti unificate, il discorso più ipocrita dell’anno.
Quello suo, signor mezzopresidente, e come se non bastasse alla sua ipocrisia si aggiunge quella degli altri politici in un coro bipartisan che gli tributa elogi caramellosi e falsi.
Elogi falsi come le sue parole, signor mezzopresidente.
Lei ha parlato degli uomini del risorgimento come eroi perché lottavano per la libertà e l’unità d’Italia, giusto, ma cosa faceva lei quando gli studenti e gli operai ungheresi che lottavano per la libertà del loro paese, morivano schiacciati sotto i cingoli dei carri armati dei suoi amici sovietici? Non lo ricorda? Vuole che glielo ricordi io? Non ne vale la pena.
Cosa faceva, signor mezzo presidente quando i suoi compagni, partigiani rossi,Togliatti, Longo insieme ai criminali titini , massacravano nelle foibe migliaia di italiani per il solo fatto che erano italiani?
Niente, in fondo stavano liberando l’Italia o meglio la stavano liberando dagli italiani per istallare un bel regime comunista che avrebbe reso le terre dell’Istria un paradiso come la Germania orientale, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia e tanti altri paesi.
Dov’ era durante gli anni di piombo, signor mezzo presidente, quando molti giovani, che si erano nutriti della sua bella ideologia, tentarono una rivoluzione proletaria spargendo sangue, nella migliore tradizione marxista? Ah si ricordo, dopo fu detto che erano i compagni che sbagliavano, mentre lei è sempre stato dalla parte dei compagni in linea con la direzione del partito comunista e i suoi sguardi erano rivolti alle guglie del Cremlino, alla Piazza Rossa e al mausoleo del profeta Lenin.
Poi è cambiato il vento, signor mezzopresidente, e non spiravano più da est quelle belle refole di rubli che andavano ad ingrassare le casse del suo partito per fomentare la rivoluzione proletaria in Italia, almeno così fu detto. E allora?
Allora si tentò il compromesso storico, ricorda signor mezzopresidente? Anche gli odiati preti che, nel veneto e nel triangolo rosso nei giorni radiosi della resistenza, ma a guerra finita, i partigiani comunisti avevano ammazzato come mosche, in quel momento facevano comodo. E la chiesa che fece? Niente! Certi preti che si autodefinivano progressisti perdonarono, perdonarono tutti i criminali e senza confessione, d’altronde anche Cristo aveva perdonato il ladrone, ma qui si trattava oltre che di ladroni anche di assassini.
Non le faccio né gli auguri né tanto meno accetto i suoi che le respingo, signor mezzo presidente, e a questo punto avrà capito perché la chiamo mezzopresidente, Lei è il presidente della parte peggiore e più ipocrita del popolo italiano ed io non ne faccio parte, per fortuna!
Come ogni 31 dicembre, tanto per farci finire l’anno vecchio con il cenone che ci va di traverso ed iniziare l’anno nuovo con il vomito, la tv ci trasmette, a reti unificate, il discorso più ipocrita dell’anno.
Quello suo, signor mezzopresidente, e come se non bastasse alla sua ipocrisia si aggiunge quella degli altri politici in un coro bipartisan che gli tributa elogi caramellosi e falsi.
Elogi falsi come le sue parole, signor mezzopresidente.
Lei ha parlato degli uomini del risorgimento come eroi perché lottavano per la libertà e l’unità d’Italia, giusto, ma cosa faceva lei quando gli studenti e gli operai ungheresi che lottavano per la libertà del loro paese, morivano schiacciati sotto i cingoli dei carri armati dei suoi amici sovietici? Non lo ricorda? Vuole che glielo ricordi io? Non ne vale la pena.
Cosa faceva, signor mezzo presidente quando i suoi compagni, partigiani rossi,Togliatti, Longo insieme ai criminali titini , massacravano nelle foibe migliaia di italiani per il solo fatto che erano italiani?
Niente, in fondo stavano liberando l’Italia o meglio la stavano liberando dagli italiani per istallare un bel regime comunista che avrebbe reso le terre dell’Istria un paradiso come la Germania orientale, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia e tanti altri paesi.
Dov’ era durante gli anni di piombo, signor mezzo presidente, quando molti giovani, che si erano nutriti della sua bella ideologia, tentarono una rivoluzione proletaria spargendo sangue, nella migliore tradizione marxista? Ah si ricordo, dopo fu detto che erano i compagni che sbagliavano, mentre lei è sempre stato dalla parte dei compagni in linea con la direzione del partito comunista e i suoi sguardi erano rivolti alle guglie del Cremlino, alla Piazza Rossa e al mausoleo del profeta Lenin.
Poi è cambiato il vento, signor mezzopresidente, e non spiravano più da est quelle belle refole di rubli che andavano ad ingrassare le casse del suo partito per fomentare la rivoluzione proletaria in Italia, almeno così fu detto. E allora?
Allora si tentò il compromesso storico, ricorda signor mezzopresidente? Anche gli odiati preti che, nel veneto e nel triangolo rosso nei giorni radiosi della resistenza, ma a guerra finita, i partigiani comunisti avevano ammazzato come mosche, in quel momento facevano comodo. E la chiesa che fece? Niente! Certi preti che si autodefinivano progressisti perdonarono, perdonarono tutti i criminali e senza confessione, d’altronde anche Cristo aveva perdonato il ladrone, ma qui si trattava oltre che di ladroni anche di assassini.
Non le faccio né gli auguri né tanto meno accetto i suoi che le respingo, signor mezzo presidente, e a questo punto avrà capito perché la chiamo mezzopresidente, Lei è il presidente della parte peggiore e più ipocrita del popolo italiano ed io non ne faccio parte, per fortuna!
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Lo metto qui, tra "compagni".
parla il giudice
L’ho indagato e so che è indifendibile
di Guido Salvini
Quindi il Presidente Lula non intende estradare Battisti per proteggerne «l’integrità fisica». Un’idea incomprensibile per chi come me ha seguito una parte delle indagini sui Proletari Armati per il Comunismo di Battisti e ricorda bene la scia di dolore, l’«integrità fisica» delle vittime davvero perduta per sempre, che le loro gesta gangsteristiche, disprezzate persino dalle Brigate Rosse, hanno lasciato alle spalle.
Ma l’idea di Lula non si comprende in pieno se non si pone attenzione a una certa cultura da cui proviene. Il Brasile ha una storia lunga e anche recente di banditismo giustizialista, soprattutto rurale, i cui protagonisti erano pseudogiustizieri al confine tra crimine e ribellismo politico e alcune volte ottenevano, come i nostri briganti, anche ammirazione.
Per questa ragione Battisti, che uccideva i negozianti e le guardie penitenziarie che gli erano antipatiche, ha avuto la fortuna di trovare il posto giusto in cui rifugiarsi. Ricordiamo del resto che prima di diventare un terrorista e poi un romanziere di successo Battisti era semplicemente un ex-malavitoso politicizzatosi in carcere.
Con la scelta cui si prepara, il Presidente brasiliano forse eviterà di sostenere che Battisti è un innocente perseguitato, idea difficile visto che a suo carico ci sono sentenze alte come guide del telefono, ma più semplicemente, con un corto circuito frutto di una cultura più che di una strategia internazionale, che è un fuggiasco da ospitare e proteggere.
Ciò che infastidisce, e non poco, di questa scelta è il presupposto che Battisti sarebbe esposto in Italia a persecuzioni legali o extralegali. Dopo gli anni di piombo la nostra Giustizia ha processato quasi 3000 terroristi sempre con giudizi regolari in cui tutti hanno avuto diritto alla difesa. Grazie alle leggi sulla dissociazione e a benefici penitenziari la quasi totalità è tornata libera con tempi e modi che non suonano come persecutori ma che semmai hanno causato proteste dei parenti delle vittime. Sofri e Toni Negri non sono sepolti in uno Spielberg e la terrorista Baraldini estradata dagli Usa e malata, non giace in un Lazzaretto. Né in detenzione né dopo la scarcerazione nessun ex terrorista ha subito torture o è stato fatto scomparire illegalmente da apparati dello Stato o bande di poliziotti. Tutti coloro che non hanno più commesso reati vivono tranquillamente spesso ben reinseriti nella società e la nostra Giustizia, il caso Abu Omar insegna, non tollera violenze o rapimenti nemmeno in danno di stranieri.
Il popolo brasiliano suscita in noi giusta simpatia per la vitalità che esprime a dispetto delle difficoltà in cui vive. Nonostante l’offesa, ci deve restare amico. Ma il suo Presidente sa che gli squadroni della morte hanno agito non in Italia, ma nelle città del Brasile ove poliziotti e paramilitari hanno giustiziato sommariamente ogni notte ladruncoli e meninos de rua, i ragazzini che vivono nelle strade e la situazione delle sue carceri non è certo migliore. Il Presidente Lula dovrebbe guardare la trave nel suo occhio, poi forse le pagliuzze in casa altrui.
giovedì, 30 dicembre 2010
http://www.ilriformista.it/stories/Prima%20pagina/321471/
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Ho fatto il link...
...mi è arrivato per posta, credo interessante.
Buona serata.
http://linkati2lu.files.wordpress.com/2011/01/mercoledc3ac-5-gennaio-2011.doc
Buona serata.
http://linkati2lu.files.wordpress.com/2011/01/mercoledc3ac-5-gennaio-2011.doc
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
E' uno schifo !!!
Napolitano e Fini
Scritto da Bartolomeo Di Monaco
venerdì 25 febbraio 2011
Che si siano coalizzate molte forze per abbattere il governo Berlusconi è cosa che è ormai sotto gli occhi di tutti.
Come pure è sotto gli occhi di tutti che dallo scontro Berlusconi è uscito, almeno fino ad oggi, vincitore.
Ma da tutto ciò emerge sempre più chiaramente che l’asse portante di questo tentativo di rovesciamento è stato ed è ancora oggi l’intesa tra Napolitano e Fini, ossia tra la prima e la terza carica dello Stato.
Per Berlusconi è stata importante la tenuta democratica della seconda carica dello Stato, ossia il presidente del Senato, che non si è prestato all’operazione e, come scrissi a suo tempo, è stato garante del rispetto del risultato elettorale.
Gli altri hanno sperato di farcela, ma il 14 dicembre si sono resi conto di aver fatto i conti senza l’oste, e hanno dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Ma non si sono arresi.
Hanno trovato in Berlusconi un osso duro che non solo il 14 dicembre ha ottenuto la rinnovata fiducia del parlamento, ma è andato sempre di più allargando la propria maggioranza tanto al Senato quanto alla Camera, mettendo in grossa difficoltà soprattutto Napolitano che ha dovuto frenare per non trovarsi a confliggere con il parlamento. Cosa che lo avrebbe collocato in una posizione assai complicata.
Tuttavia, la lettera che qualche giorno fa ha improvvidamente inviato al presidente del Consiglio e ai due presidenti della Camera e del Senato, è la manifestazione palese che lo spirito di quel disegno ancora permane, e fa commettere al presidente Napolitano quelli che a molti appaiono errori di grave incostituzionalità. La Costituzione infatti non prevede che egli possa fare ciò che ha fatto, come lucidamente ha scritto qualche giorno fa Davide Giacalone.
Un altro segno manifesto di quel disegno, e dell’intenzione di voler continuare a perseguirlo, sta nel silenzio (che dura dall’estate scorsa) di Napolitano sui comportamenti del presidente della Camera.
In questi giorni Fini ha avviato un tour mediatico in cui sistematicamente aggredisce il presidente del Consiglio. Non può farlo, eppure – nonostante le proteste del centrodestra – Napolitano continua a tacere e a tollerare, mentre il suo dovere costituzionale imporrebbe che egli richiamasse il presidente della Camera al rispetto del proprio ruolo.
Fini perciò gode di una speciale impunità, assicuratagli dall’opposizione e a quanto pare dal capo dello Stato, nonché (non dimentichiamo il caso Montecarlo) dalla magistratura.
L’opposizione ha nella attuale devianza istituzionale la stessa grave responsabilità di Napolitano. Perché, se è vero che a Napolitano spetta il dovere di far rispettare i ruoli istituzionali, è vero anche che all’opposizione spetta, sempre e comunque, il dovere di denunciarne le deviazioni. E quella del presidente della Camera è una deviazione così profonda da non avere precedenti.
Ho già scritto che il comportamento deviante di Fini mette in mora il ruolo del capo dello Stato e dell’opposizione. Infatti, denuncia una loro acquiescenza.
Ci si dilunga a parlare di Ruby e della telefonata del premier alla Questura di Milano (e non delle raccomandazioni in Rai di Fini a favore della propria famiglia) e si tace sulle connivenze con i comportamenti di Fini del capo dello Stato e dell’opposizione, che con il loro silenzio stanno facendo scempio dei principi costituzionali.
Mala tempora currunt…
www.bartolomeodimonaco.it
Scritto da Bartolomeo Di Monaco
venerdì 25 febbraio 2011
Che si siano coalizzate molte forze per abbattere il governo Berlusconi è cosa che è ormai sotto gli occhi di tutti.
Come pure è sotto gli occhi di tutti che dallo scontro Berlusconi è uscito, almeno fino ad oggi, vincitore.
Ma da tutto ciò emerge sempre più chiaramente che l’asse portante di questo tentativo di rovesciamento è stato ed è ancora oggi l’intesa tra Napolitano e Fini, ossia tra la prima e la terza carica dello Stato.
Per Berlusconi è stata importante la tenuta democratica della seconda carica dello Stato, ossia il presidente del Senato, che non si è prestato all’operazione e, come scrissi a suo tempo, è stato garante del rispetto del risultato elettorale.
Gli altri hanno sperato di farcela, ma il 14 dicembre si sono resi conto di aver fatto i conti senza l’oste, e hanno dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Ma non si sono arresi.
Hanno trovato in Berlusconi un osso duro che non solo il 14 dicembre ha ottenuto la rinnovata fiducia del parlamento, ma è andato sempre di più allargando la propria maggioranza tanto al Senato quanto alla Camera, mettendo in grossa difficoltà soprattutto Napolitano che ha dovuto frenare per non trovarsi a confliggere con il parlamento. Cosa che lo avrebbe collocato in una posizione assai complicata.
Tuttavia, la lettera che qualche giorno fa ha improvvidamente inviato al presidente del Consiglio e ai due presidenti della Camera e del Senato, è la manifestazione palese che lo spirito di quel disegno ancora permane, e fa commettere al presidente Napolitano quelli che a molti appaiono errori di grave incostituzionalità. La Costituzione infatti non prevede che egli possa fare ciò che ha fatto, come lucidamente ha scritto qualche giorno fa Davide Giacalone.
Un altro segno manifesto di quel disegno, e dell’intenzione di voler continuare a perseguirlo, sta nel silenzio (che dura dall’estate scorsa) di Napolitano sui comportamenti del presidente della Camera.
In questi giorni Fini ha avviato un tour mediatico in cui sistematicamente aggredisce il presidente del Consiglio. Non può farlo, eppure – nonostante le proteste del centrodestra – Napolitano continua a tacere e a tollerare, mentre il suo dovere costituzionale imporrebbe che egli richiamasse il presidente della Camera al rispetto del proprio ruolo.
Fini perciò gode di una speciale impunità, assicuratagli dall’opposizione e a quanto pare dal capo dello Stato, nonché (non dimentichiamo il caso Montecarlo) dalla magistratura.
L’opposizione ha nella attuale devianza istituzionale la stessa grave responsabilità di Napolitano. Perché, se è vero che a Napolitano spetta il dovere di far rispettare i ruoli istituzionali, è vero anche che all’opposizione spetta, sempre e comunque, il dovere di denunciarne le deviazioni. E quella del presidente della Camera è una deviazione così profonda da non avere precedenti.
Ho già scritto che il comportamento deviante di Fini mette in mora il ruolo del capo dello Stato e dell’opposizione. Infatti, denuncia una loro acquiescenza.
Ci si dilunga a parlare di Ruby e della telefonata del premier alla Questura di Milano (e non delle raccomandazioni in Rai di Fini a favore della propria famiglia) e si tace sulle connivenze con i comportamenti di Fini del capo dello Stato e dell’opposizione, che con il loro silenzio stanno facendo scempio dei principi costituzionali.
Mala tempora currunt…
www.bartolomeodimonaco.it
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Il mezzopresidente aiuta GianFrego contro il Paese.
http://www.ilgiornale.it/interni/napolitano_fa_scena_muta_mentre_fini_insulta_stato/26-02-2011/articolo-id=508494-page=0-comments=1[b]
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
SVEGLIATI, mezzopresidente.
http://www.ilgiornale.it/interni/ll_caso_tortora_fa_altre_due_vittime/27-02-2011/articolo-id=508521-page=0-comments=1
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
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