Attenzione al colpo di Stato che qualcuno vuole fare.
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Attenzione al colpo di Stato che qualcuno vuole fare.
http://www.ilgiornale.it/interni/spiato_mezzo_governo_ricerca_p4/18-12-2010/articolo-id=494373-page=0-comments=1
Spiato mezzo governo: ricerca della P4
Procura Napoli assalta la maggioranza
ore 10:30
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La procura di Napoli assedia il Pdl con più inchieste. L’ultima vede intercettati, pedinati e fotografati sino a Montecitorio ministri e parlamentari. L’indagine vuol dimostrare l’esistenza di una fantomatica loggia segreta. Obiettivo? Gianni Letta. Interrogati come testimoni il ministro Carfagna, il capo degli ispettori Miller e lo 007 Santini
Alfonso Papa, deputato Pdl: "Vogliono colpirmi come politico e giudice"
http://www.ilgiornale.it/interni/vogliono_colpirmi_come_politico_e_giudice_e_questo_complotto/18-12-2010/articolo-id=494525-page=0-comments=1
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La procura di Napoli assedia il Pdl con più inchieste. L’ultima vede intercettati, pedinati e fotografati sino a Montecitorio ministri e parlamentari. L’indagine vuol dimostrare l’esistenza di una fantomatica loggia segreta. Obiettivo? Gianni Letta. Interrogati come testimoni il ministro Carfagna, il capo degli ispettori Miller e lo 007 Santini
Alfonso Papa, deputato Pdl: "Vogliono colpirmi come politico e giudice"
http://www.ilgiornale.it/interni/vogliono_colpirmi_come_politico_e_giudice_e_questo_complotto/18-12-2010/articolo-id=494525-page=0-comments=1
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Leggete attentamente, per favore.
sabato 18 dicembre 2010, 08:00
Il metodo Scilipoti (e quello Woodcock)
di Alessandro Sallusti
È una questione di metodo, hanno rinfacciato a questo Giornale quando abbiamo pubblicato la condanna di Dino Boffo per molestie telefoniche a sfondo sessuale o svelato il pasticcio brutto di Gianfranco Fini e della casa di Montecarlo. I paladini del moralismo ritenevano che il nostro giornalismo fosse un metodo disdicevole perché attaccava la persona nella sua vita privata. A parte che non c'è nulla di più pubblico di una condanna o della vendita di una casa intestata a un partito, gli stessi signori, giornali e trasmissioni televisive hanno messo nel loro personale tritacarne Domenico Scilipoti, il parlamentare di Di Pietro che ha lasciato l'Idv e ha votato la fiducia al governo Berlusconi. Insulti, pesanti sberleffi, agguati a parenti (compresa la madre novantenne), la sua vita privata messa in piazza con spregiudicatezza, accuse pesanti messe nero su bianco senza il ben che minimo riscontro.
Ma il «metodo Scilipoti» non fa scandalo, anzi diverte intellettuali, professorini del giornalismo, noti conduttori bacchettoni. Sparare a caso su Scilipoti non provoca l'intervento dell'Ordine dei giornalisti. E tutto questo perché chi decide di stare con Berlusconi, addirittura di contribuire a non fare cadere il suo governo, non merita nessun rispetto e tutela da parte di quegli stessi intellettuali e politici che sul «metodo Boffo» hanno costruito una stagione di grandi successi.
Funziona così questo Paese, in tutti i campi, compreso quello della giustizia dove vige impunito il «metodo Woodcock», il pm napoletano che, insieme ad altri colleghi, ha raccolto intercettazioni telefoniche, verbali di pedinamento (con tanto di foto allegate) che coinvolgono ministri, sottosegretari, deputati e senatori. Mezzo governo e un pezzo di Parlamento è stato spiato senza una precisa ipotesi di reato. Così, a strascico si dice: una telefonata tira l'altra e via. Tutele e leggi per i pm non contano. In cinque mangiano al ristorante?
Indaghiamo, può essere la prova che fanno parte di una associazione segreta. Così dopo la P2 e la P3, sta per irrompere sulla scena la P4. Questo è il metodo che piace a Di Pietro e ora anche a Bocchino e Fini. Quintali di spazzatura raccolta a Napoli stanno per invadere di nuovo l'Italia. Ma non sono quelli lasciati dai cittadini per strada. Prepariamoci a una nuova stagione di veleni.
Il metodo Scilipoti (e quello Woodcock)
di Alessandro Sallusti
È una questione di metodo, hanno rinfacciato a questo Giornale quando abbiamo pubblicato la condanna di Dino Boffo per molestie telefoniche a sfondo sessuale o svelato il pasticcio brutto di Gianfranco Fini e della casa di Montecarlo. I paladini del moralismo ritenevano che il nostro giornalismo fosse un metodo disdicevole perché attaccava la persona nella sua vita privata. A parte che non c'è nulla di più pubblico di una condanna o della vendita di una casa intestata a un partito, gli stessi signori, giornali e trasmissioni televisive hanno messo nel loro personale tritacarne Domenico Scilipoti, il parlamentare di Di Pietro che ha lasciato l'Idv e ha votato la fiducia al governo Berlusconi. Insulti, pesanti sberleffi, agguati a parenti (compresa la madre novantenne), la sua vita privata messa in piazza con spregiudicatezza, accuse pesanti messe nero su bianco senza il ben che minimo riscontro.
Ma il «metodo Scilipoti» non fa scandalo, anzi diverte intellettuali, professorini del giornalismo, noti conduttori bacchettoni. Sparare a caso su Scilipoti non provoca l'intervento dell'Ordine dei giornalisti. E tutto questo perché chi decide di stare con Berlusconi, addirittura di contribuire a non fare cadere il suo governo, non merita nessun rispetto e tutela da parte di quegli stessi intellettuali e politici che sul «metodo Boffo» hanno costruito una stagione di grandi successi.
Funziona così questo Paese, in tutti i campi, compreso quello della giustizia dove vige impunito il «metodo Woodcock», il pm napoletano che, insieme ad altri colleghi, ha raccolto intercettazioni telefoniche, verbali di pedinamento (con tanto di foto allegate) che coinvolgono ministri, sottosegretari, deputati e senatori. Mezzo governo e un pezzo di Parlamento è stato spiato senza una precisa ipotesi di reato. Così, a strascico si dice: una telefonata tira l'altra e via. Tutele e leggi per i pm non contano. In cinque mangiano al ristorante?
Indaghiamo, può essere la prova che fanno parte di una associazione segreta. Così dopo la P2 e la P3, sta per irrompere sulla scena la P4. Questo è il metodo che piace a Di Pietro e ora anche a Bocchino e Fini. Quintali di spazzatura raccolta a Napoli stanno per invadere di nuovo l'Italia. Ma non sono quelli lasciati dai cittadini per strada. Prepariamoci a una nuova stagione di veleni.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: Attenzione al colpo di Stato che qualcuno vuole fare.
http://www.ilgiornale.it/interni/spiato_mezzo_governo_ricerca_p4/18-12-2010/articolo-id=494373-page=0-comments=1
Sul CORSERVA questa notizia di Napoli non c'è, però ci sono queste che potete leggere qui sotto : valutate.
http://www.corriere.it/politica/10_dicembre_17/ue-insulti-berlusconi_f54d9c14-0a02-11e0-b36f-00144f02aabc.shtml
http://www.corriere.it/cronache/10_dicembre_18/sentenza-G8-genova_bc3ee53a-0aa3-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml
http://www.corriere.it/politica/10_dicembre_18/fini-piano-pressing-berlusconi_d1342c22-0a6f-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/18-dicembre-2010/morte-sepoltura-venezia-spargere-ceneri-ora-si-puo-181102202556.shtml
Sul CORSERVA questa notizia di Napoli non c'è, però ci sono queste che potete leggere qui sotto : valutate.
http://www.corriere.it/politica/10_dicembre_17/ue-insulti-berlusconi_f54d9c14-0a02-11e0-b36f-00144f02aabc.shtml
http://www.corriere.it/cronache/10_dicembre_18/sentenza-G8-genova_bc3ee53a-0aa3-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml
http://www.corriere.it/politica/10_dicembre_18/fini-piano-pressing-berlusconi_d1342c22-0a6f-11e0-b99d-00144f02aabc.shtml
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/18-dicembre-2010/morte-sepoltura-venezia-spargere-ceneri-ora-si-puo-181102202556.shtml
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
La Riforma delle Riforme.
Conclamata inciviltà
L’Italia è stata ancora condannata per inciviltà, ma la non notizia neanche trova spazio sulle prime pagine. Una cosa scontata. In compenso ci accingiamo a una nuova corrida giudiziaria, preparandoci a ricevere la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge che regola il legittimo impedimento. E non basta, perché la follia autolesionista non ha limiti: se un giornale straniero mette alla berlina qualche nostro governante parte subito il coretto parrocchiale di quelli che intonano il “che vergogna, davanti al mondo”, ma se è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a sentenziare che la nostra giustizia fa schifo, improvvisamente diventano tutti muti, incapaci di commento alcuno. Ancora oltre: se si osserva che certuni sembrano potere disporre di un accordo con la magistratura associata, immediatamente parte la ola dello scandalo, non per il fatto, ma per il detto, sebbene si sappia benissimo che tutte le riforme della giustizia, a partire dalla necessaria separazione delle carriere, sono state avversate da quegli stessi, con gran soddisfazione della magistratura associata. Che è la stessa cosa di prima, ma guai a dirlo in modo chiaro.
E’ umiliante, disonorevole, essere condannati non solo per la lentezza, esasperante e disumana, della giustizia italiana, ma anche per la lentezza, grottesca e arrogante, con cui decidiamo e paghiamo i risarcimenti per le ingiustizie subite dai cittadini. In un Paese che ancora coltivi un briciolo d’amor proprio questo sarebbe un tema in cima alle priorità. Invece non importa niente a nessuno. La giustizia è data per morta, senza neanche cordoglio. Non a caso neanche più s’invocano i processi giusti e ragionevoli, mentre si parla sempre di arresti preventivi (con l’occasione: è vero che il senatore Gasparri ha detto uno sproposito, ma nello stesso Paese in cui Silvio Scaglia è detenuto da un anno, senza che nessuno lo abbia mai condannato a nulla). Quel che è vivo, invece, è un giustizialismo da pollaio, animato dalla voglia di veder cancellato l’avversario politico.
Quando la Corte Costituzionale si sarà pronunciata, a gennaio, giusto in tempo per poi cambiare il proprio presidente, saremo esattamente al punto di prima: una dubbia lezioncina pronunciata da un organismo che viola la Costituzione pur di far fare carriera ai propri membri. Possono salvare o affossare il legittimo impedimento, non per questo cambierà un accidente. Più probabilmente lo rimoduleranno, in modo da rendere più presente il tema nel dibattito politico. E se ne sentiva il bisogno. Sulla faccenda si farà gran caciara, mentre il silenzio scenderà sulle parole della Corte di Strasburgo: l’Italia deve profondamente riformare la propria giustizia. Quei giudici fanno anche riferimento ai lavori parlamentari, dove le riforme giacciono, auspicando che si concludano. Auspicio più che condivisibile, ma poco credibile. Da troppi anni giriamo attorno alle cose serie, incapaci di affrontarle, sempre distratti da norme limitate e frammentarie, da mozziconi di riforma che vengono avversati come se fossero inammissibili rivoluzioni.
A noi piace parlare chiaramente: è vero che la maggioranza di centro destra s’è spesa quasi solo per proteggere il proprio leader dagli assalti giudiziari, ma è anche vero che quelle norme specifiche erano sbagliate perché troppo poco, non perché troppo, come sostenevano gli oppositori e i moralisti d’accatto. Come è vero che non è assolutamente normale il protrarsi quindicennale di raffiche giudiziarie, spesso sparate a casaccio, sempre invitando chi è nel mirino a farsi da parte, con ciò stesso manomettendo la democrazia. Ed è vero anche che quel che di buono è stato fatto, come la legge Pecorella sulla non riprocessabilità degli assolti, è stato poi cancellato da una Corte Costituzionale politicante (in quel caso con la sentenza redatta da uno che è stato presidente poche settimane, a cavallo delle feste, e neanche avverte l’elementare bisogno di vergognarsene). Ora si ricomincia, con il legittimo impedimento. Ci sono colpe ben distribuite, quindi, e miserie seminate a piene mani. Ma la responsabilità d’impostare le riforme cade su chi ha la maggioranza. Oramai dovrebbe essere chiaro che l’Italia è in un vicolo cieco, per giunta rissoso e maleodorante: va sfondato, deve esserci ossigeno e giustizia per tutti, non per uno o per taluno.
Meglio, allora, puntare tutto al bersaglio grosso, non accettando compromessi al ribasso o protezioni esclusive. Abbiamo l’anima satura di polemiche senza costrutto. Si discuta la riforma vera, senza inseguire e neanche coprire il corporativismo togato: né quello dei magistrati né quello degli avvocati. Coccolarlo o sbertucciarlo è servito solo a diventare incivili.
L’Italia è stata ancora condannata per inciviltà, ma la non notizia neanche trova spazio sulle prime pagine. Una cosa scontata. In compenso ci accingiamo a una nuova corrida giudiziaria, preparandoci a ricevere la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge che regola il legittimo impedimento. E non basta, perché la follia autolesionista non ha limiti: se un giornale straniero mette alla berlina qualche nostro governante parte subito il coretto parrocchiale di quelli che intonano il “che vergogna, davanti al mondo”, ma se è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a sentenziare che la nostra giustizia fa schifo, improvvisamente diventano tutti muti, incapaci di commento alcuno. Ancora oltre: se si osserva che certuni sembrano potere disporre di un accordo con la magistratura associata, immediatamente parte la ola dello scandalo, non per il fatto, ma per il detto, sebbene si sappia benissimo che tutte le riforme della giustizia, a partire dalla necessaria separazione delle carriere, sono state avversate da quegli stessi, con gran soddisfazione della magistratura associata. Che è la stessa cosa di prima, ma guai a dirlo in modo chiaro.
E’ umiliante, disonorevole, essere condannati non solo per la lentezza, esasperante e disumana, della giustizia italiana, ma anche per la lentezza, grottesca e arrogante, con cui decidiamo e paghiamo i risarcimenti per le ingiustizie subite dai cittadini. In un Paese che ancora coltivi un briciolo d’amor proprio questo sarebbe un tema in cima alle priorità. Invece non importa niente a nessuno. La giustizia è data per morta, senza neanche cordoglio. Non a caso neanche più s’invocano i processi giusti e ragionevoli, mentre si parla sempre di arresti preventivi (con l’occasione: è vero che il senatore Gasparri ha detto uno sproposito, ma nello stesso Paese in cui Silvio Scaglia è detenuto da un anno, senza che nessuno lo abbia mai condannato a nulla). Quel che è vivo, invece, è un giustizialismo da pollaio, animato dalla voglia di veder cancellato l’avversario politico.
Quando la Corte Costituzionale si sarà pronunciata, a gennaio, giusto in tempo per poi cambiare il proprio presidente, saremo esattamente al punto di prima: una dubbia lezioncina pronunciata da un organismo che viola la Costituzione pur di far fare carriera ai propri membri. Possono salvare o affossare il legittimo impedimento, non per questo cambierà un accidente. Più probabilmente lo rimoduleranno, in modo da rendere più presente il tema nel dibattito politico. E se ne sentiva il bisogno. Sulla faccenda si farà gran caciara, mentre il silenzio scenderà sulle parole della Corte di Strasburgo: l’Italia deve profondamente riformare la propria giustizia. Quei giudici fanno anche riferimento ai lavori parlamentari, dove le riforme giacciono, auspicando che si concludano. Auspicio più che condivisibile, ma poco credibile. Da troppi anni giriamo attorno alle cose serie, incapaci di affrontarle, sempre distratti da norme limitate e frammentarie, da mozziconi di riforma che vengono avversati come se fossero inammissibili rivoluzioni.
A noi piace parlare chiaramente: è vero che la maggioranza di centro destra s’è spesa quasi solo per proteggere il proprio leader dagli assalti giudiziari, ma è anche vero che quelle norme specifiche erano sbagliate perché troppo poco, non perché troppo, come sostenevano gli oppositori e i moralisti d’accatto. Come è vero che non è assolutamente normale il protrarsi quindicennale di raffiche giudiziarie, spesso sparate a casaccio, sempre invitando chi è nel mirino a farsi da parte, con ciò stesso manomettendo la democrazia. Ed è vero anche che quel che di buono è stato fatto, come la legge Pecorella sulla non riprocessabilità degli assolti, è stato poi cancellato da una Corte Costituzionale politicante (in quel caso con la sentenza redatta da uno che è stato presidente poche settimane, a cavallo delle feste, e neanche avverte l’elementare bisogno di vergognarsene). Ora si ricomincia, con il legittimo impedimento. Ci sono colpe ben distribuite, quindi, e miserie seminate a piene mani. Ma la responsabilità d’impostare le riforme cade su chi ha la maggioranza. Oramai dovrebbe essere chiaro che l’Italia è in un vicolo cieco, per giunta rissoso e maleodorante: va sfondato, deve esserci ossigeno e giustizia per tutti, non per uno o per taluno.
Meglio, allora, puntare tutto al bersaglio grosso, non accettando compromessi al ribasso o protezioni esclusive. Abbiamo l’anima satura di polemiche senza costrutto. Si discuta la riforma vera, senza inseguire e neanche coprire il corporativismo togato: né quello dei magistrati né quello degli avvocati. Coccolarlo o sbertucciarlo è servito solo a diventare incivili.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Ci sperano sempre.
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Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Ci metterei tutte e due le mani.
http://linkati2.files.wordpress.com/2010/08/ganzer-foglio.doc
Aprite pure tranquille/i il link, niente virus.
Aprite pure tranquille/i il link, niente virus.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: Attenzione al colpo di Stato che qualcuno vuole fare.
L'autoumiliazione di D'Alema
Scritto da Davide Giacalone
martedì 28 dicembre 2010
Perché Massimo D’Alema corre a smentire quel che pensa? Perché un leader orgoglioso accetta l’umiliazione di negare un proprio giudizio? Perché altrimenti lo massacrano. Perché l’avversione di D’Alema al giustizialismo ha una radice tutta politica, quindi pericolosa. Perché si trova esposto al ricatto delle inchieste sospese o potenziali, che lo inducono a chinare il capo. Riflettete sulla sorte di questo ex comunista, che per non negare se stesso neanche accetta quell’“ex”, non confondete il giudizio politico con quello morale (quello penale è insussistente, perché D’Alema è lindo e, per quel che conta, lo credo anche personalmente onesto). Qui si trovano molti indizi sul male che affligge, da troppo tempo, l’Italia. Lasciamo perdere le parole riferite da Ronald Spogli, ambasciatore statunitense a Roma, secondo il quale egli avrebbe definito la magistratura “la più grande minaccia allo Stato italiano”. Ancora una volta Wikileaks rivela quel che già sapevamo. Credo che D’Alema abbia utilizzato esattamente quelle parole, pur non ritenendo del tutto esatto il concetto espresso. Ma la sostanza è chiara: la magistratura è divenuta un contropotere, quindi è fuori dai binari costituzionali. Il resto è fuffa. E non credo che, esprimendosi in quel modo, D’Alema facesse suo un giudizio “berlusconiano”, per due ragioni: a. perché egli lo pensa fin da prima dell’entrata di Silvio Berlusconi in politica; b. perché quel che lo induce alla severità del giudizio e all’asprezza delle parole non sono gli attacchi che riceve, ma l’attacco che il giustizialismo porta al primato della politica. Nel quale D’Alema crede (giustamente) e per il quale non condivise gli entusiasmi verso il manipulitismo, già nel 1992.
La tragedia nasce lì, in un rigurgito di bassezze nazionali. Berlusconi si lanciò all’occupazione del vuoto politico creatosi, dopo che le sue televisioni avevano fatto, per benino, da cassa di risonanza ai forcaioli. La sinistra comunista vide, in quella stagione semifascista, l’occasione per non fare i conti con la propria storia e traghettare sé medesima al governo (senza mai vincere le elezioni). Fu una stagione doppiamente antidemocratica, il che nulla toglie al giudizio storico sulla classe politica cacciata, né a quello penale, sui reati commessi (come su quelli mai commessi, dati per certi e, oramai, incistati nella storia per imbecilli). Berlusconi fu, al tempo stesso, il frutto e l’argine di quella stagione. Per la seconda cosa, credo, conquistandosi un posto, positivo, nei libri di storia. D’Alema ne vide subito i pericoli e ne denunciò l’attentato alla politica, ma poi recitò la parte del cinico e del realista, facendo la figura dell’illuso. Non sarebbe bastato arrestare tutti i democristiani, i socialisti, i liberali e i repubblicani per cancellare i crimini storici del comunismo, compreso quello italiano.
Dopo quel momento la tragedia prese le forme del bipolarismo isterico: ciascuno è garantista con i propri e giustizialista con gli altri. Risultato: la cultura del diritto è finita in minoranza. Berlusoni si fa quindici anni da imputato, senza mai cadere, ma sempre finendo azzoppato. D’Alema si fa quindici anni (un po’ meno, diciamo da quando è stato presidente del Consiglio) da presunto indagato, naturalmente presunto colpevole. Nessuno dei due perderà definitivamente la verginità in tribunale, in compenso l’Italia è violentata quotidianamente. Anche a causa della loro incapacità di mettere a fattor comune quel che comunemente, sebbene per ragioni diverse, hanno maturato.
Berlusconi è accusato di pensare solo a sé stesso. Qualche pezza d’appoggio c’è. E D’Alema, a chi e a cosa sta pensando? Smentisce perché, appunto, pensa a sé. Nel nostro sistema nessuno raggiunge mai la pace dei sensi politici e si esce di scena solo mortis causa. Se così non fosse, se D’Alema avesse idea di potere giocare un ruolo diverso dall’eletto da qualche parte, già da tempo avrebbe messo mano alla battaglia per la riforma costituzionale. E non dica, per carità, che lui ci provò ma Berlusconi lo fermò, perché c’è un limite alla storia raccontata con i fumetti: la bicamerale da lui presieduta pospose la discussione degli emendamenti alla “bozza Boato”, che comprendevano la separazione delle carriere. Il solo che ne parlava con convinzione era Marco Boato, poi giubilato, gli altri ne avevano paura e, al tempo stesso, preferirono non disarmare quel che era puntato contro l’avversario. Pertanto: la colpa politica di quelli della prima Repubblica fu non comprendere le conseguenze della fine della guerra fredda, la colpa politica di quelli della seconda il non essere stati capaci di cauterizzare la piaga giustizialista.
La differenza sta nel fatto che i secondi non sono ancora seppelliti. Provino a non rendere inutile la loro sopravvivenza, in questa legislatura o nella prossima, tanto il problema non si risolverà da solo.
Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it
Scritto da Davide Giacalone
martedì 28 dicembre 2010
Perché Massimo D’Alema corre a smentire quel che pensa? Perché un leader orgoglioso accetta l’umiliazione di negare un proprio giudizio? Perché altrimenti lo massacrano. Perché l’avversione di D’Alema al giustizialismo ha una radice tutta politica, quindi pericolosa. Perché si trova esposto al ricatto delle inchieste sospese o potenziali, che lo inducono a chinare il capo. Riflettete sulla sorte di questo ex comunista, che per non negare se stesso neanche accetta quell’“ex”, non confondete il giudizio politico con quello morale (quello penale è insussistente, perché D’Alema è lindo e, per quel che conta, lo credo anche personalmente onesto). Qui si trovano molti indizi sul male che affligge, da troppo tempo, l’Italia. Lasciamo perdere le parole riferite da Ronald Spogli, ambasciatore statunitense a Roma, secondo il quale egli avrebbe definito la magistratura “la più grande minaccia allo Stato italiano”. Ancora una volta Wikileaks rivela quel che già sapevamo. Credo che D’Alema abbia utilizzato esattamente quelle parole, pur non ritenendo del tutto esatto il concetto espresso. Ma la sostanza è chiara: la magistratura è divenuta un contropotere, quindi è fuori dai binari costituzionali. Il resto è fuffa. E non credo che, esprimendosi in quel modo, D’Alema facesse suo un giudizio “berlusconiano”, per due ragioni: a. perché egli lo pensa fin da prima dell’entrata di Silvio Berlusconi in politica; b. perché quel che lo induce alla severità del giudizio e all’asprezza delle parole non sono gli attacchi che riceve, ma l’attacco che il giustizialismo porta al primato della politica. Nel quale D’Alema crede (giustamente) e per il quale non condivise gli entusiasmi verso il manipulitismo, già nel 1992.
La tragedia nasce lì, in un rigurgito di bassezze nazionali. Berlusconi si lanciò all’occupazione del vuoto politico creatosi, dopo che le sue televisioni avevano fatto, per benino, da cassa di risonanza ai forcaioli. La sinistra comunista vide, in quella stagione semifascista, l’occasione per non fare i conti con la propria storia e traghettare sé medesima al governo (senza mai vincere le elezioni). Fu una stagione doppiamente antidemocratica, il che nulla toglie al giudizio storico sulla classe politica cacciata, né a quello penale, sui reati commessi (come su quelli mai commessi, dati per certi e, oramai, incistati nella storia per imbecilli). Berlusconi fu, al tempo stesso, il frutto e l’argine di quella stagione. Per la seconda cosa, credo, conquistandosi un posto, positivo, nei libri di storia. D’Alema ne vide subito i pericoli e ne denunciò l’attentato alla politica, ma poi recitò la parte del cinico e del realista, facendo la figura dell’illuso. Non sarebbe bastato arrestare tutti i democristiani, i socialisti, i liberali e i repubblicani per cancellare i crimini storici del comunismo, compreso quello italiano.
Dopo quel momento la tragedia prese le forme del bipolarismo isterico: ciascuno è garantista con i propri e giustizialista con gli altri. Risultato: la cultura del diritto è finita in minoranza. Berlusoni si fa quindici anni da imputato, senza mai cadere, ma sempre finendo azzoppato. D’Alema si fa quindici anni (un po’ meno, diciamo da quando è stato presidente del Consiglio) da presunto indagato, naturalmente presunto colpevole. Nessuno dei due perderà definitivamente la verginità in tribunale, in compenso l’Italia è violentata quotidianamente. Anche a causa della loro incapacità di mettere a fattor comune quel che comunemente, sebbene per ragioni diverse, hanno maturato.
Berlusconi è accusato di pensare solo a sé stesso. Qualche pezza d’appoggio c’è. E D’Alema, a chi e a cosa sta pensando? Smentisce perché, appunto, pensa a sé. Nel nostro sistema nessuno raggiunge mai la pace dei sensi politici e si esce di scena solo mortis causa. Se così non fosse, se D’Alema avesse idea di potere giocare un ruolo diverso dall’eletto da qualche parte, già da tempo avrebbe messo mano alla battaglia per la riforma costituzionale. E non dica, per carità, che lui ci provò ma Berlusconi lo fermò, perché c’è un limite alla storia raccontata con i fumetti: la bicamerale da lui presieduta pospose la discussione degli emendamenti alla “bozza Boato”, che comprendevano la separazione delle carriere. Il solo che ne parlava con convinzione era Marco Boato, poi giubilato, gli altri ne avevano paura e, al tempo stesso, preferirono non disarmare quel che era puntato contro l’avversario. Pertanto: la colpa politica di quelli della prima Repubblica fu non comprendere le conseguenze della fine della guerra fredda, la colpa politica di quelli della seconda il non essere stati capaci di cauterizzare la piaga giustizialista.
La differenza sta nel fatto che i secondi non sono ancora seppelliti. Provino a non rendere inutile la loro sopravvivenza, in questa legislatura o nella prossima, tanto il problema non si risolverà da solo.
Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Da Il Foglio.
http://linkati2.files.wordpress.com/2010/08/ganzer-foglio.doc
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
I veri pilastri a difesa dell'Italia.
[b]Condivido in toto l'articolo, anche se manca qualcosa che avrei ricordato : se Cossiga fosse ancora al mondo, direbbe che questo modo di fare contro i Carabinieri, perchè questo è oramai certo, è da considerare come una VENDETTA per quando gli stessi accerchiarono su ordine di Cossiga, la sede del CSM.
Da allora si "danno da fare" per metterli nella condizione di non poter fare al meglio il loro lavoro.
http://linkati2lu.files.wordpress.com/2010/12/ros.pdf[/b]
Da allora si "danno da fare" per metterli nella condizione di non poter fare al meglio il loro lavoro.
http://linkati2lu.files.wordpress.com/2010/12/ros.pdf[/b]
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Beh, perchè non è intervenuto prima ?
Ganzer: Vigna rinsalda sostegno, voci pro Generale da Pdl-Pd-Udc
Roma, 29 dic (Il Velino) - Piero Luigi Vigna, ex procuratore nazionale antimafia, si schiera in modo netto dalla parte di Giampaolo Ganzer, il generale comandante del Ros dei carabinieri condannato a 14 anni di carcere per traffico internazionale di droga e accusato, nelle motivazioni della sentenza scritta dai giudici milanesi, di avere puntato a “raggiungere obiettivi ai quali è spinto dalla sua smisurata ambizione” anche a costo di compiere gravissimi reati. Parole encomiastiche su Ganzer - e critiche nei confronti della sentenza - giungono da esponenti di diversi schieramenti e si sommano a quelle espresse ieri dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano (che ha presentato il generale come un “ufficiale di straordinario valore a cui tutti gli italiani dovrebbero essere grati”). Secondo i giudici milanesi, Vigna, che al processo ha testimoniato a favore di Ganzer, sarebbe stato raggirato perché - così è scritto nella sentenza - “non poteva certo sapere che la droga era stata introdotta in Italia dagli stessi militari che l’avevano sequestrata istigando altri ad acquistarla”. Un ruolo di testimone “inconsapevole” che l’ex procuratore nazionale antimafia respinge seccamente in un’intervista concessa al “Corriere della Sera”: “Sono più che consapevole”, “i raggirati, se così si può dire, sono i trafficanti che abbiamo arrestato nel tempo”.L’ex ministro dell’Interno Enzo Bianco, ora senatore Pd, non commenta le decisioni della magistratura, ma tiene a segnalare che ha avuto Ganzer come comandante dei Ros, maturando la convinzione “che si tratta di un ufficiale e investigatore di riconosciuta capacità. Sotto di lui i Ros hanno consolidato ed accresciuto una straordinaria capacità investigativa che oggi fa di questo soggetto uno dei migliori gruppi di investigazione, riconosciuto a livello internazionale”.
I Radicali, col segretario Mario Staderini, invocano invece la rimozione di Ganzer (unitamente a quella di Gianni De Gennaro), come pure fanno esponenti dell’Italia dei valori (anche se Felice Belisario si limita alla richiesta di sospensione dall’incarico). Solidarietà al generale è invece espressa da Francesco Bosi (Udc). Il Pdl concentra la propria attenzione sull’attendibilità della sentenza: per Jole Santelli, vicepresidente dei deputati berlusconiani, “lascia senza parole” il giudizio sulla personalità del generale, che “appare travalicare qualsiasi buon senso e correttezza fra le istituzioni”. Una posizione rinsaldata oggi dal capogruppo vicario al Senato Gaetano Quagliariello, secondo il quale è la condanna di Ganzer “è preoccupante per lo stato della giustizia in Italia”. Innanzitutto perché “chiunque crede nella ‘squadra Stato’ e riconosce al suo impegno corale gli straordinari successi conseguiti in questi anni sul fronte della legalità e della sicurezza e nella lotta al crimine organizzato, sa anche quale ruolo fondamentale abbiano giocato in questa partita i carabinieri del Ros e il loro comandante, con l’ambizione - questa sì - di servire al meglio il paese, le sue istituzioni e i suoi cittadini”.
Quagliariello accosta il calvario giudiziario di Ganzer a quello del suo predecessore, Mario Mori, e coglie nelle motivazioni della sentenza il “diffuso malvezzo di ricorrere a categorie socio-psicologiche per puntellare teoremi giudiziari. Parlare di ‘ambizione’ e di ‘personalità preoccupante’ per motivare la condanna a quattordici anni di galera per un ufficiale al quale tutti gli italiani hanno motivo di essere grati inquieta chiunque abbia a cuore lo stato della giustizia nel nostro paese”, ma dovrebbe allarmare ancora di più i magistrati, nel caso in cui venissero anche a loro applicate le categorie applicate in questa circostanza al comandante dei Ros. Il portavoce Pdl Daniele Capezzone si dice “convinto che il generale Ganzer sia un esemplare servitore dello Stato”, esprimendogli totale solidarietà, e ricorda ai giustizialisti “che nella nostra Costituzione (da troppi menzionata ed apprezzata solo a giorni e ad articoli alterni) è fissato il principio della presunzione di innocenza”. Ganzer intanto dice a “Libero” che resta al suo posto e continua a fare il suo lavoro come sempre, anche se, aggiunge, “sono un servitore dello Stato e accetterà tutto quello che mi viene ordinato”.
(ndl) 29 dic 2010 18:24
http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=1267540
Roma, 29 dic (Il Velino) - Piero Luigi Vigna, ex procuratore nazionale antimafia, si schiera in modo netto dalla parte di Giampaolo Ganzer, il generale comandante del Ros dei carabinieri condannato a 14 anni di carcere per traffico internazionale di droga e accusato, nelle motivazioni della sentenza scritta dai giudici milanesi, di avere puntato a “raggiungere obiettivi ai quali è spinto dalla sua smisurata ambizione” anche a costo di compiere gravissimi reati. Parole encomiastiche su Ganzer - e critiche nei confronti della sentenza - giungono da esponenti di diversi schieramenti e si sommano a quelle espresse ieri dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano (che ha presentato il generale come un “ufficiale di straordinario valore a cui tutti gli italiani dovrebbero essere grati”). Secondo i giudici milanesi, Vigna, che al processo ha testimoniato a favore di Ganzer, sarebbe stato raggirato perché - così è scritto nella sentenza - “non poteva certo sapere che la droga era stata introdotta in Italia dagli stessi militari che l’avevano sequestrata istigando altri ad acquistarla”. Un ruolo di testimone “inconsapevole” che l’ex procuratore nazionale antimafia respinge seccamente in un’intervista concessa al “Corriere della Sera”: “Sono più che consapevole”, “i raggirati, se così si può dire, sono i trafficanti che abbiamo arrestato nel tempo”.L’ex ministro dell’Interno Enzo Bianco, ora senatore Pd, non commenta le decisioni della magistratura, ma tiene a segnalare che ha avuto Ganzer come comandante dei Ros, maturando la convinzione “che si tratta di un ufficiale e investigatore di riconosciuta capacità. Sotto di lui i Ros hanno consolidato ed accresciuto una straordinaria capacità investigativa che oggi fa di questo soggetto uno dei migliori gruppi di investigazione, riconosciuto a livello internazionale”.
I Radicali, col segretario Mario Staderini, invocano invece la rimozione di Ganzer (unitamente a quella di Gianni De Gennaro), come pure fanno esponenti dell’Italia dei valori (anche se Felice Belisario si limita alla richiesta di sospensione dall’incarico). Solidarietà al generale è invece espressa da Francesco Bosi (Udc). Il Pdl concentra la propria attenzione sull’attendibilità della sentenza: per Jole Santelli, vicepresidente dei deputati berlusconiani, “lascia senza parole” il giudizio sulla personalità del generale, che “appare travalicare qualsiasi buon senso e correttezza fra le istituzioni”. Una posizione rinsaldata oggi dal capogruppo vicario al Senato Gaetano Quagliariello, secondo il quale è la condanna di Ganzer “è preoccupante per lo stato della giustizia in Italia”. Innanzitutto perché “chiunque crede nella ‘squadra Stato’ e riconosce al suo impegno corale gli straordinari successi conseguiti in questi anni sul fronte della legalità e della sicurezza e nella lotta al crimine organizzato, sa anche quale ruolo fondamentale abbiano giocato in questa partita i carabinieri del Ros e il loro comandante, con l’ambizione - questa sì - di servire al meglio il paese, le sue istituzioni e i suoi cittadini”.
Quagliariello accosta il calvario giudiziario di Ganzer a quello del suo predecessore, Mario Mori, e coglie nelle motivazioni della sentenza il “diffuso malvezzo di ricorrere a categorie socio-psicologiche per puntellare teoremi giudiziari. Parlare di ‘ambizione’ e di ‘personalità preoccupante’ per motivare la condanna a quattordici anni di galera per un ufficiale al quale tutti gli italiani hanno motivo di essere grati inquieta chiunque abbia a cuore lo stato della giustizia nel nostro paese”, ma dovrebbe allarmare ancora di più i magistrati, nel caso in cui venissero anche a loro applicate le categorie applicate in questa circostanza al comandante dei Ros. Il portavoce Pdl Daniele Capezzone si dice “convinto che il generale Ganzer sia un esemplare servitore dello Stato”, esprimendogli totale solidarietà, e ricorda ai giustizialisti “che nella nostra Costituzione (da troppi menzionata ed apprezzata solo a giorni e ad articoli alterni) è fissato il principio della presunzione di innocenza”. Ganzer intanto dice a “Libero” che resta al suo posto e continua a fare il suo lavoro come sempre, anche se, aggiunge, “sono un servitore dello Stato e accetterà tutto quello che mi viene ordinato”.
(ndl) 29 dic 2010 18:24
http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=1267540
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Sulla home non c'era.
Il magistrato interviene per scagionare il generale del Ros
Vigna giura su Ganzer: ha sempre servito la giustizia
di Piero Laporta prlprt@gmail.com
Pierluigi Vigna giura due volte sull'innocenza di Giampaolo Ganzer. Ha testimoniato a suo favore e l'ha ribadito sul Corsera. PierLuigi Vigna non è magistrato qualsiasi, avvezzo alle dichiarazioni più inverosimili. Neppure è mai sceso a patti con terroristi o con pentiti juke box. Ganzer per Vigna non solo è innocente ma, ribaltando le argomentazioni della sentenza, ha assicurato alla giustizia i narcotrafficanti, senza farsene strumentalizzare. Egli ha inoltre aggiunto un vivido dettaglio in questa vicenda: io sapevo tutto, ha sottolineato Vigna, e condividevo.
La qualità di pubblico ufficiale di Vigna, mentre Ganzer «delinqueva», dovrebbe causare immediatamente un'indagine su Vigna. Quando egli si dice consapevole delle gesta di Ganzer mentre questi «delinque», poiché lo stesso Vigna è direttore delle indagini, non un esecutore o un semplice osservatore, dovrebbe farlo sospettare di correità. Nulla di tutto questo. Ganzer è lasciato solo, a dispetto della consapevolezza attiva, pure coraggiosamente dichiarata dal magistrato Vigna.
In altri termini, il carabiniere Ganzer può essere sacrificato nelle schermaglie fra istituzioni dello stato. Il magistrato Vigna, che pure non si tira indietro di fronte alle proprie onoratissime responsabilità, si guarda bene dallo scalfirlo. Poi magari regoleranno i conti in altra sede, intanto però è evidente che c'è una giustizia strabica e a molteplici velocità, dalla immobilità cadaverica alla frenesia parossistica con tutte le varianti intermedie.
Una tale vicenda dimostra fino a che livello è scesa la giustizia italiana e a quale abietta sorte è votato chi la serve con la passione di Ganzer.
Egli appartiene a un manipolo di ufficiali dei carabinieri che all'Arma, non all'ambizione ma all'Arma, hanno sacrificato tutto, dalla famiglia agli affetti, fino alla stessa vita. Il loro carisma illumina tutta l'Arma; sono come monaci guerrieri, servi solo dei propri ideali. Tempo fa ne citammo un altro, il tenente colonnello Fabio Cagnazzo, comandante del nucleo operativo più esposto della Campania, trasferito a Foggia dopo gli schizzi di fango d'un pentito juke box. La presunzione di innocenza per Cagnazzo fu accantonata nonostante la levata di scudi in suo favore di 30 sostituti procuratori di Napoli. Ora per Ganzer nell'Arma c'è chi è tentato di ripetere l'inchino a ciò che sembra giustizia e invece è solo un giudizio di primo grado, inficiato da una testimonianza come quella di Vigna che non trova alcuna risposta nella sentenza.
La presunzione costituzionale di innocenza vale per Ganzer come per tutti i cittadini. Se nonostante questa, sarà destinato ad altro incarico, Ganzer obbedirà da eccellente soldato qual è, ma nessuno in tal caso potrà rimuovere due sensazioni: che l'Arma è in declino e che Ganzer è sacrificato per le ambizioni dei suoi stessi colleghi. Sullo stato della giustizia, infine, non occorre dilungarsi.
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1693612&codiciTestate=1&sez=hgiornali
Vigna giura su Ganzer: ha sempre servito la giustizia
di Piero Laporta prlprt@gmail.com
Pierluigi Vigna giura due volte sull'innocenza di Giampaolo Ganzer. Ha testimoniato a suo favore e l'ha ribadito sul Corsera. PierLuigi Vigna non è magistrato qualsiasi, avvezzo alle dichiarazioni più inverosimili. Neppure è mai sceso a patti con terroristi o con pentiti juke box. Ganzer per Vigna non solo è innocente ma, ribaltando le argomentazioni della sentenza, ha assicurato alla giustizia i narcotrafficanti, senza farsene strumentalizzare. Egli ha inoltre aggiunto un vivido dettaglio in questa vicenda: io sapevo tutto, ha sottolineato Vigna, e condividevo.
La qualità di pubblico ufficiale di Vigna, mentre Ganzer «delinqueva», dovrebbe causare immediatamente un'indagine su Vigna. Quando egli si dice consapevole delle gesta di Ganzer mentre questi «delinque», poiché lo stesso Vigna è direttore delle indagini, non un esecutore o un semplice osservatore, dovrebbe farlo sospettare di correità. Nulla di tutto questo. Ganzer è lasciato solo, a dispetto della consapevolezza attiva, pure coraggiosamente dichiarata dal magistrato Vigna.
In altri termini, il carabiniere Ganzer può essere sacrificato nelle schermaglie fra istituzioni dello stato. Il magistrato Vigna, che pure non si tira indietro di fronte alle proprie onoratissime responsabilità, si guarda bene dallo scalfirlo. Poi magari regoleranno i conti in altra sede, intanto però è evidente che c'è una giustizia strabica e a molteplici velocità, dalla immobilità cadaverica alla frenesia parossistica con tutte le varianti intermedie.
Una tale vicenda dimostra fino a che livello è scesa la giustizia italiana e a quale abietta sorte è votato chi la serve con la passione di Ganzer.
Egli appartiene a un manipolo di ufficiali dei carabinieri che all'Arma, non all'ambizione ma all'Arma, hanno sacrificato tutto, dalla famiglia agli affetti, fino alla stessa vita. Il loro carisma illumina tutta l'Arma; sono come monaci guerrieri, servi solo dei propri ideali. Tempo fa ne citammo un altro, il tenente colonnello Fabio Cagnazzo, comandante del nucleo operativo più esposto della Campania, trasferito a Foggia dopo gli schizzi di fango d'un pentito juke box. La presunzione di innocenza per Cagnazzo fu accantonata nonostante la levata di scudi in suo favore di 30 sostituti procuratori di Napoli. Ora per Ganzer nell'Arma c'è chi è tentato di ripetere l'inchino a ciò che sembra giustizia e invece è solo un giudizio di primo grado, inficiato da una testimonianza come quella di Vigna che non trova alcuna risposta nella sentenza.
La presunzione costituzionale di innocenza vale per Ganzer come per tutti i cittadini. Se nonostante questa, sarà destinato ad altro incarico, Ganzer obbedirà da eccellente soldato qual è, ma nessuno in tal caso potrà rimuovere due sensazioni: che l'Arma è in declino e che Ganzer è sacrificato per le ambizioni dei suoi stessi colleghi. Sullo stato della giustizia, infine, non occorre dilungarsi.
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1693612&codiciTestate=1&sez=hgiornali
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Qui, uno dei problemi seri, sul tema.
giovedì 06 gennaio 2011, 09:25
Gli stipendi choc della magistratura: costano un miliardo di euro all'anno
di Francesco Maria Del Vigo
Nei giorni scorsi l'Associazione nazionale dei magistrati ha minacciato lo sciopero per il taglio ai fondi all'assistenza informatica (36 milioni di euro). Ma un magistrato occupa un posto di lavoro blindato e può arrivare a portare a casa anche 500 mila euro all'anno
Pagati, viziati, lentissimi e ipersindacalizzati. La casta dei magistrati continua a lamentarsi, l’ultima richiesta dell’Anm è di pochi giorni fa: “I tribunali rischiano una paralisi complessiva”. Il motivo? Il taglio dei fondi all’assistenza informatica. L’associazione delle toghe ha minacciato lo sciopero e in poche ore il ministro ha aperto il portafogli (una trentina di milioni di euro) e tutto si è risolto. La giustizia costa tanto, si sa. Ma quanto incidono gli stipendi dei magistrati? Tenetevi forte, la cifra fa paura: circa un miliardo di euro. I cugini francesi spendono il 30 per cento in meno e lavorano meglio. Ma i nostri in compenso hanno un primato: la lentezza. Da noi i processi si trascinano a lungo, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ci multa, i cittadini sotto processo fanno ricorso. E poi? Poi lo Stato, tanto per cambiare, paga i danni. Andando a spulciare il “prontuario delle competenze dovute alla Magistratura Ordinaria” ci addentriamo in una selva di numeri e scatti di anzianità che fanno lievitare il monte salari. Prima bizzarria: dov’è la meritocrazia? Latita, per fare carriera basta “invecchiare”. Tutti arrivano al massimo livello di stipendio, anche quando magari non riescono ricoprire un incarico di alto livello.
L’organo che valuta ogni quattro anni (ma lo scatto è biennale) la professionalità del giudice è il Consiglio superiore della magistratura, che nel 96 per cento dei casi dà un via libera. Ma la bocciatura, nei rarissimi casi in cui si verifica, non prevede nessun arretramento economico: vige il principio della conservazione dello stipendio maturato. L’orologio dei magistrati continua a correre e lo stipendio a lievitare, qualunque cosa succeda. Per intenderci: è come se tutti i militari diventassero generali. Facciamo i numeri: un magistrato al settimo livello di anzianità, che sarebbe il ventottesimo anno di professione, arriva a portare a casa un lordo di 195.362.33 euro all’anno. Il presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche può mettersi in tasca fino a 260.593.04. Tanto? Non abbastanza, evidentemente, dato che è anche prevista un’indennità che si aggira sui mille euro al mese. Salendo verso le funzioni “apicali”, il vertice della carriera, le cifre aumentano fino a raggiungere il miliardo delle vecchie lire. Queste sono le toghe-paperone, a fronte delle quali ci sono un gran numero di magistrati che portano a casa un’onesta busta paga. Un giudice di primo pelo si accontenta di poco meno di cinquemila euro mensili lordi. Tutto questo ricade sulle nostre spalle.
I tribunali costano a ogni cittadino italiano 45 euro all’anno. Il 18 per cento in più rispetto ai francesi e addirittura il 60 per cento in più rispetto ai 28 euro del Regno Unito. Il totale della spesa è un miliardo di euro. In un’Italia in cui tutti tirano la cinghia, una delle poche categorie che non rischia il posto e neppure la decurtazione dello stipendio, è proprio quella dei magistrati. Le toghe piangono quando c’è da chiedere trenta milioni di euro per computer, ma non fanno mai sacrifici. A dispetto della crisi e soprattutto del buonsenso.
Gli stipendi choc della magistratura: costano un miliardo di euro all'anno
di Francesco Maria Del Vigo
Nei giorni scorsi l'Associazione nazionale dei magistrati ha minacciato lo sciopero per il taglio ai fondi all'assistenza informatica (36 milioni di euro). Ma un magistrato occupa un posto di lavoro blindato e può arrivare a portare a casa anche 500 mila euro all'anno
Pagati, viziati, lentissimi e ipersindacalizzati. La casta dei magistrati continua a lamentarsi, l’ultima richiesta dell’Anm è di pochi giorni fa: “I tribunali rischiano una paralisi complessiva”. Il motivo? Il taglio dei fondi all’assistenza informatica. L’associazione delle toghe ha minacciato lo sciopero e in poche ore il ministro ha aperto il portafogli (una trentina di milioni di euro) e tutto si è risolto. La giustizia costa tanto, si sa. Ma quanto incidono gli stipendi dei magistrati? Tenetevi forte, la cifra fa paura: circa un miliardo di euro. I cugini francesi spendono il 30 per cento in meno e lavorano meglio. Ma i nostri in compenso hanno un primato: la lentezza. Da noi i processi si trascinano a lungo, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ci multa, i cittadini sotto processo fanno ricorso. E poi? Poi lo Stato, tanto per cambiare, paga i danni. Andando a spulciare il “prontuario delle competenze dovute alla Magistratura Ordinaria” ci addentriamo in una selva di numeri e scatti di anzianità che fanno lievitare il monte salari. Prima bizzarria: dov’è la meritocrazia? Latita, per fare carriera basta “invecchiare”. Tutti arrivano al massimo livello di stipendio, anche quando magari non riescono ricoprire un incarico di alto livello.
L’organo che valuta ogni quattro anni (ma lo scatto è biennale) la professionalità del giudice è il Consiglio superiore della magistratura, che nel 96 per cento dei casi dà un via libera. Ma la bocciatura, nei rarissimi casi in cui si verifica, non prevede nessun arretramento economico: vige il principio della conservazione dello stipendio maturato. L’orologio dei magistrati continua a correre e lo stipendio a lievitare, qualunque cosa succeda. Per intenderci: è come se tutti i militari diventassero generali. Facciamo i numeri: un magistrato al settimo livello di anzianità, che sarebbe il ventottesimo anno di professione, arriva a portare a casa un lordo di 195.362.33 euro all’anno. Il presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche può mettersi in tasca fino a 260.593.04. Tanto? Non abbastanza, evidentemente, dato che è anche prevista un’indennità che si aggira sui mille euro al mese. Salendo verso le funzioni “apicali”, il vertice della carriera, le cifre aumentano fino a raggiungere il miliardo delle vecchie lire. Queste sono le toghe-paperone, a fronte delle quali ci sono un gran numero di magistrati che portano a casa un’onesta busta paga. Un giudice di primo pelo si accontenta di poco meno di cinquemila euro mensili lordi. Tutto questo ricade sulle nostre spalle.
I tribunali costano a ogni cittadino italiano 45 euro all’anno. Il 18 per cento in più rispetto ai francesi e addirittura il 60 per cento in più rispetto ai 28 euro del Regno Unito. Il totale della spesa è un miliardo di euro. In un’Italia in cui tutti tirano la cinghia, una delle poche categorie che non rischia il posto e neppure la decurtazione dello stipendio, è proprio quella dei magistrati. Le toghe piangono quando c’è da chiedere trenta milioni di euro per computer, ma non fanno mai sacrifici. A dispetto della crisi e soprattutto del buonsenso.
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