Cominciando dal CORSERVA, Ruby !
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Re: Cominciando dal CORSERVA, Ruby !
Il bunga bunga si affloscia
Gli italiani sono già stufi
Per gentile concessione del quotidiano «Italia
Oggi», pubblichiamo il commento di Diego
Gabutti
Non lasciamoci ingannare dalle piazzate
televisive: il Cavaliere che chiama La7 al telefono
e definisce «L’infedele» un «ripugnante postribolo
», Gad Lerner che gli dà del «cafone» in
diretta (più in basso di così, soltanto i film di Pierino
e certi telegiornali della sera). Per quanto a
destra i berluscones strillino, per quanto si gonfino
le vene del collo degli oppositori indignati,
la sensazione è che l’affaire festini di mezzanotte
nelle residenze private del Cavaliere si sia già
(come dire?) mezzo ammosciato. Se ne parla
ancora, naturalmente. Anzi, per la verità non si
parla d’altro: l’Olgettina di qua, le cenette di là.
Rosy Bindi e Marco Travaglio non si sono mai
divertiti tanto. Repubblica gongola. Paolo Flores
d’Arcais non ha mai avuto un’espressione
tanto diabolica.
Anche Walter Veltroni, che è di
nuovo apparso al Lingotto come la Madonna a
Medjugorje, ha voluto dire qualcosa di memorabile:
«Berlusconi chiarisca o si dimetta». Se la
gode anche la grande sacerdotessa di Confindustria
Emma Marcegaglia che dichiara nel
confessionale di Fabio Fazio, il quale annuisce
alzando gli occhi al cielo, con quella sua aria da
prevosto ben pasciuto: altro che Ruby, «c’è
un’altra Italia che va a letto presto». È intervenuta
anche la Chiesa con un predicozzo cerchiobottista
del cardinal Bagnasco: «disagio
morale» per il bunga bunga berlusconiano, «inchiesta
sproporzionata» quella della procura
milanese. Ogni sera, nei tiggì, non si vedono che
signorinelle sculettanti - reduci da uno dei soliti
(anzi, degl’insoliti) interrogatori, tipo «quante
volte, figliola, e dove, quando, quanto, e con
chi» - uscire dal palazzo di giustizia incalzate
dalle telecamere mentre si coprono il volto con
le mani.
Eppure non c’è più l’entusiasmo dei
primi giorni. Persino i più diretti interessati (le
opposizioni cosiddette intransigenti, ma anche
lo stesso Silvio Berlusconi) sembrano sempre
meno convinti e nascondono a malapena gli
sbadigli anche quando si prendono a male parole
in diretta televisiva: lei è un cafone, la sua
trasmissione è un ignobile bordello (signori, la
classe dirigente italiana). Ormai ogni mese, per
non dire ogni settimana e tra un po’ (vedrete)
ogni giorno, si tenta la spallata: morte al tiranno,
viva la libertà, benpensanti a noi! Negli ultimi
tempi non c’è stato tentativo di far cadere il governo
che lì per lì non sia sembrato destinato al
successo.
Gli oppositori, eccitatissimi, hanno
improvvisato balletti sulle punte, come ballerini
del Bolscioi, quando sono scesi in pista i futuristi
di Gianfranco Fini e hanno battuto il cinque
con i conduttori di talk show quando si convincevano
che il Cavaliere non sarebbe uscito vivo
dal voto di fiducia del 14 dicembre. Ma all’esal -
tazione iniziale segue ogni volta lo scoramento.
Sempre la stessa storia. Non cambia mai. Rimangono,
come lattine di birra abbandonate
sulle gradinate dello stadio, le malinconiche ingiurie
da bar che sono ormai diventate il segno
di Zorro d’ogni Italiano Illustre.
Se si sono stufati
loro, i protagonisti dell’affaire, figurarsi noi. Di
Ruby non se ne può più, idem di Nicole Minetti.
Quanto poi a Lele Mora ed Emilio Fede, che si
spartiscono da bravi leccapiatti il prestito che il
premier ha concesso al primo dei due, vogliamo
dimenticare che esistono . Urge un nuovo
tentativo di spallata. Servono altre ossa da gettare
ai cani (da guardia, beninteso) della stampa
elegante.
Gli italiani sono già stufi
Per gentile concessione del quotidiano «Italia
Oggi», pubblichiamo il commento di Diego
Gabutti
Non lasciamoci ingannare dalle piazzate
televisive: il Cavaliere che chiama La7 al telefono
e definisce «L’infedele» un «ripugnante postribolo
», Gad Lerner che gli dà del «cafone» in
diretta (più in basso di così, soltanto i film di Pierino
e certi telegiornali della sera). Per quanto a
destra i berluscones strillino, per quanto si gonfino
le vene del collo degli oppositori indignati,
la sensazione è che l’affaire festini di mezzanotte
nelle residenze private del Cavaliere si sia già
(come dire?) mezzo ammosciato. Se ne parla
ancora, naturalmente. Anzi, per la verità non si
parla d’altro: l’Olgettina di qua, le cenette di là.
Rosy Bindi e Marco Travaglio non si sono mai
divertiti tanto. Repubblica gongola. Paolo Flores
d’Arcais non ha mai avuto un’espressione
tanto diabolica.
Anche Walter Veltroni, che è di
nuovo apparso al Lingotto come la Madonna a
Medjugorje, ha voluto dire qualcosa di memorabile:
«Berlusconi chiarisca o si dimetta». Se la
gode anche la grande sacerdotessa di Confindustria
Emma Marcegaglia che dichiara nel
confessionale di Fabio Fazio, il quale annuisce
alzando gli occhi al cielo, con quella sua aria da
prevosto ben pasciuto: altro che Ruby, «c’è
un’altra Italia che va a letto presto». È intervenuta
anche la Chiesa con un predicozzo cerchiobottista
del cardinal Bagnasco: «disagio
morale» per il bunga bunga berlusconiano, «inchiesta
sproporzionata» quella della procura
milanese. Ogni sera, nei tiggì, non si vedono che
signorinelle sculettanti - reduci da uno dei soliti
(anzi, degl’insoliti) interrogatori, tipo «quante
volte, figliola, e dove, quando, quanto, e con
chi» - uscire dal palazzo di giustizia incalzate
dalle telecamere mentre si coprono il volto con
le mani.
Eppure non c’è più l’entusiasmo dei
primi giorni. Persino i più diretti interessati (le
opposizioni cosiddette intransigenti, ma anche
lo stesso Silvio Berlusconi) sembrano sempre
meno convinti e nascondono a malapena gli
sbadigli anche quando si prendono a male parole
in diretta televisiva: lei è un cafone, la sua
trasmissione è un ignobile bordello (signori, la
classe dirigente italiana). Ormai ogni mese, per
non dire ogni settimana e tra un po’ (vedrete)
ogni giorno, si tenta la spallata: morte al tiranno,
viva la libertà, benpensanti a noi! Negli ultimi
tempi non c’è stato tentativo di far cadere il governo
che lì per lì non sia sembrato destinato al
successo.
Gli oppositori, eccitatissimi, hanno
improvvisato balletti sulle punte, come ballerini
del Bolscioi, quando sono scesi in pista i futuristi
di Gianfranco Fini e hanno battuto il cinque
con i conduttori di talk show quando si convincevano
che il Cavaliere non sarebbe uscito vivo
dal voto di fiducia del 14 dicembre. Ma all’esal -
tazione iniziale segue ogni volta lo scoramento.
Sempre la stessa storia. Non cambia mai. Rimangono,
come lattine di birra abbandonate
sulle gradinate dello stadio, le malinconiche ingiurie
da bar che sono ormai diventate il segno
di Zorro d’ogni Italiano Illustre.
Se si sono stufati
loro, i protagonisti dell’affaire, figurarsi noi. Di
Ruby non se ne può più, idem di Nicole Minetti.
Quanto poi a Lele Mora ed Emilio Fede, che si
spartiscono da bravi leccapiatti il prestito che il
premier ha concesso al primo dei due, vogliamo
dimenticare che esistono . Urge un nuovo
tentativo di spallata. Servono altre ossa da gettare
ai cani (da guardia, beninteso) della stampa
elegante.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: Cominciando dal CORSERVA, Ruby !
La Boccassini, Salvatore Cancemi e la favola di Berlusconi mafioso
Roma, 28 gen (Il Velino) - Ieri è morto Salvatore Cancemi, il più famoso e il più bugiardo dei mafiosi “pentiti”. Pochi giornali ne hanno dato notizia e con poche righe, e nessuno ha ricordato che è con lui che è cominciata la favola dei professionisti dell’antimafia su Silvio Berlusconi “mafioso”, o addirittura mandante dell'assassinio di Giovanni Falcone, e che tutto cominciò con l’interrogatorio che a Cancemi fece il pm Ilda Boccassini, distaccata da Milano a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci e sull’assassinio di Giovanni Falcone. Ecco come noi raccontammo, all’epoca, l’incredibile vicenda.
La prima volta di Ilda Boccassini con Silvio Berlusconi è stata sedici anni fa, il 18 febbraio del 1994, quando il pm, distaccata da Milano in Sicilia dopo la strage di Capaci per indagare sull’assassino di Giovanni Falcone, interroga Salvatore Cancemi, che è stato il primo mafioso componente della “Cupola” di Cosa nostra a “pentirsi”. L’interrogatorio della Boccassini è una tesi di laurea e meriterebbe di essere adottato come testo di studio nei seminari di Magistratura democratica. Anche Cancemi nel suo ruolo è un fenomeno, e lo è due volte: perché è il primo mafioso che si è pentito prima di essere catturato (bussò all’alba alla porta della caserma dei carabinieri), ed è anche l’unico che ha restituito un po’ dei soldi rubati (li fece ritrovare in Svizzera, sotterrati sotto un albero). Solo che per mesi Cancemi non racconta niente, non dice nemmeno che ha partecipato personalmente alle stragi di Capaci e di via D’Amelio: “Il mio pentimento - dirà quando lo scopriranno per le rivelazioni degli altri pentiti - è come una vite arrugginita che si svita lentamente e a fatica…”. E chi comincia a svitarla, dopo sette mesi da quando Cancemi si è costituito, è proprio la Boccassini.
La prima domanda della Boccassini a Cancemi è questa: “Lei nei precedenti verbali ha riferito di aver saputo da Ganci Raffaele che Salvatore Riina prima che venisse ucciso il giudice Falcone avrebbe avuto un incontro con persone importanti. Conferma questa circostanza…”. Cancemi conferma. La Boccassini gli chiede chi sono o chi potrebbero essere queste “persone importanti”. Cancemi risponde che Ganci non gli ha mai fatto nomi e che lui “non ne ha mai saputo né in quella occasione né successivamente i nominativi”. Ma più avanti, mentre si sta parlando d’altro, le presunte mazzette (il “pizzo”) che la Fininvest avrebbe pagato a Cosa nostra per evitare che le facessero saltare in aria le attenne delle sue televisioni, rispondendo a una domanda che stranamente non figura nel verbale, Cancemi ha un’intuizione: “Non credo – dice - che il pagamento di quella somma annuale costituiva una specie di pizzo… C’era qualcosa in più, io l’avevo intuito perfettamente…”. Qualcosa in più del pizzo: ma che cosa? Cancemi, che ha solo la terza elementare, ha intuito qualcosa, ma non sa che cosa. La Boccassini, che è più istruita, lo soccorre: “Lei ricorda se nel maggio del 1992, e cioè dopo che lei apprese dal Biondino Salvatore che Falcone doveva essere ucciso, e prima della morte di quest’ultimo, ha avuto ancora modo di assistere alla consegna di questa specie di pizzo…”. E Cancemi pronto: “Sì, certamente, ci fu una consegna di denaro due mesi prima, più o meno, della morte di Falcone…”.
La prima pietra è stata posta. Il pizzo che Berlusconi avrebbe pagato alla mafia non era un pizzo, ma un vero e proprio finanziamento, e Berlusconi ha finanziato Cosa nostra anche alla vigilia della strage di Falcone. Resta solo da accertare chi sono le “persone importanti”che Totò Riina ha incontrato prima di dare l’ordine di uccidere il giudice. Purtroppo, dopo lo storico interrogatorio, la Boccassini lascia la Sicilia e se ne torna a Milano, e la vite di Cancemi nelle mani di Caselli e compagni si inceppa di nuovo. Solo dopo due o tre anni Cancemi si ricorda di una “missione” che Riina gli avrebbe affidato qualche anno prima della strage, quella di ordinare a Vittorio Mangano, il famoso “stalliere”di Arcore, di non occuparsi più dei rapporti con la Fininvest, perché ormai Berlusconi e Marcello Dell’Utri - avrebbe detto Riina a Cancemi - sono direttamente “nte manu”, nelle mani di Riina. Passano un altro paio d’anni, siamo alla vigilia delle elezioni europee, e Cancemi fa sapere agli inquirenti che partendo da quella lontana “intuizione” stimolata dalla Boccassini cinque anni prima è arrivato a una “deduzione logica”: se Berlusconi finanziava Cosa nostra, se l’ha finanziata fino alla vigilia della strage, se intanto Riina aveva ’nte manu Berlusconi e Dell’Utri e in quella vigilia ha incontrato le “persone importanti”, queste non potevano che essere Berlusconi e Dell’Utri. La bomba doveva esplodere il 10 giugno del ’99, tre giorni prima della domenica elettorale per l’Europa, all’udienza già convocata per il processo per la strage di via D’Amelio. Per un improvviso impedimento dei pm di Caltanisetta (ma forse la vera ragione è in uno scrupolo preelettorale del procuratore di Caltanissetta), l’udienza slitta di sette giorni, al 17 giugno, ad elezioni e a scrutinii consumati. Cancemi recita ugualmente il suo numero e dà un ulteriore strappo alla vite, passando dalla intuizione alla deduzione logica, e dalla deduzione logica alla testimonianza diretta oculare e auricolare (“le persone importanti erano Berlusconi e Dell’Utri, i nomi li ho sentiti con le mie orecchie mentre Riina li diceva a Gangi”).
Ma la bomba scoppia a vuoto, le polveri sono bagnate dal successo elettorale di Forza Italia: Berlusconi ha avuto tre milioni di preferenze e Dell’Utri è stato eletto al Parlamento europeo. L’unico risultato è che si incazza anche il presidente della commissione parlamentare antimafia, il socialista Ottaviano Del Turco: ma dove siamo arrivati, un pentito screditato (nel frattempo Cancemi è stato dichiarato “altamente inattendibile”nelle sentenze di quattro tribunali ed è stato persino condannato all’ergastolo, unico caso per un pentito) per deduzione logica accusa di strage il capo dell’opposizione... E chiede al ministero degli Interni il verbale della riunione dello speciale comitato che ha rinnovato il contratto di collaborazione a Cancemi proprio alla vigilia del suo interrogatorio. La bomba che doveva impedire a Berlusconi di vincere le elezioni ha minato il palazzo costruito con tanta fatica negli anni partendo dalla prima pietra della Boccassini.
Ci sarà ancora qualche penoso e velleitario tentativo di puntellare il mostruoso marchingegno, qualche altra “rivelazione” de relato dei pentiti, altri “ragionamenti”di inquirenti che, come gli ultimi giapponesi, non si sono resi conto di aver perso la guerra, la clamorosa e ridicola gaffe del pm al processo per la strage di via D’Amelio (“è sufficientemente provato - gli scappa detto durante la requisitoria, proprio così: sufficientemente - il contatto tra Berlusconi e Riina”), subito sconfessato dallo stesso procuratore, e poi l’ultimo atto, in silenzio e alla chetichella, la richiesta di archiviazione di ieri. In silenzio e alla chetichella per due ragioni: perché si vergognano di ciò che hanno tentato di fare in questi sette anni contro Berlusconi “stragista”, ma anche perché temono che ora gli si chieda conto di ciò che invece non hanno fatto, di ciò che non hanno indagato. Perché agli atti dei processi, e anche agli atti del processo Andreotti, le tracce di “mandanti occulti” dietro le stragi ci sono, e come, ma portano in tutt’altra direzione di quella da loro così spericolatamente intrapresa. “Non avremmo mai potuto processare Andreotti - hanno detto i pm - se non fosse stato versato il sangue di Giovanni Falcone”. E ancora, gli stessi pm: “Il processo ad Andreotti doveva essere fatto prima, molto prima, quando è stato ammazzato il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, e un pentito accusò come mandante l’uomo di Andreotti in Sicilia, l’onorevole Salvo Lima, ma Falcone non gli volle credere e, invece di incriminare Lima e avvisare di reato Andreotti, incriminò per calunnia il pentito... “. E Giovanni Brusca, quando era ancora dichiarante in attesa del contratto di protezione: “Quando fu che si cominciò a lavorare per l’uccisione di Falcone, ci siamo visti con Totò Riina e alcuni altri della commissione. Ci siamo visti e dice: ‘Speriamo che succeda ora, speriamo che succeda ora’.
Perché? Perché in quel periodo si doveva eleggere il presidente della Repubblica e si faceva il nome di Andreotti, al che Riina dice: speriamo che riesca ora questo fatto di Falcone, in maniera che ad Andreotti ‘ci facemu fari nuautri u presidente da Repubblica’, cioè nel senso che se a quel momento succedeva come in effetti poi è successo, Andreotti non è stato fatto, cioè come prima regalo ad Andreotti, come si suol dire in siciliano con una fava ho preso due piccioni, cioè ho ucciso il dottor Falcone e nello stesso tempo con la reazione ad Andreotti non gliel’ho fatto fare…”. Il pentito che accusa Lima dell’assassinio di Mattarella, ma viene bloccato da Falcone; l’uccisione di Lima, ma non basta ancora a frenare la corsa di Andreotti; la strage di Falcone, la mancata elezione di Andreotti al Quirinale, il processo ad Andreotti e alla Dc: questa è la sequenza dei fatti. Altro che le intuizioni di Salvatore Cancemi.
(Lino Jannuzzi) 28 gen 2011 20:17
Roma, 28 gen (Il Velino) - Ieri è morto Salvatore Cancemi, il più famoso e il più bugiardo dei mafiosi “pentiti”. Pochi giornali ne hanno dato notizia e con poche righe, e nessuno ha ricordato che è con lui che è cominciata la favola dei professionisti dell’antimafia su Silvio Berlusconi “mafioso”, o addirittura mandante dell'assassinio di Giovanni Falcone, e che tutto cominciò con l’interrogatorio che a Cancemi fece il pm Ilda Boccassini, distaccata da Milano a Caltanissetta per indagare sulla strage di Capaci e sull’assassinio di Giovanni Falcone. Ecco come noi raccontammo, all’epoca, l’incredibile vicenda.
La prima volta di Ilda Boccassini con Silvio Berlusconi è stata sedici anni fa, il 18 febbraio del 1994, quando il pm, distaccata da Milano in Sicilia dopo la strage di Capaci per indagare sull’assassino di Giovanni Falcone, interroga Salvatore Cancemi, che è stato il primo mafioso componente della “Cupola” di Cosa nostra a “pentirsi”. L’interrogatorio della Boccassini è una tesi di laurea e meriterebbe di essere adottato come testo di studio nei seminari di Magistratura democratica. Anche Cancemi nel suo ruolo è un fenomeno, e lo è due volte: perché è il primo mafioso che si è pentito prima di essere catturato (bussò all’alba alla porta della caserma dei carabinieri), ed è anche l’unico che ha restituito un po’ dei soldi rubati (li fece ritrovare in Svizzera, sotterrati sotto un albero). Solo che per mesi Cancemi non racconta niente, non dice nemmeno che ha partecipato personalmente alle stragi di Capaci e di via D’Amelio: “Il mio pentimento - dirà quando lo scopriranno per le rivelazioni degli altri pentiti - è come una vite arrugginita che si svita lentamente e a fatica…”. E chi comincia a svitarla, dopo sette mesi da quando Cancemi si è costituito, è proprio la Boccassini.
La prima domanda della Boccassini a Cancemi è questa: “Lei nei precedenti verbali ha riferito di aver saputo da Ganci Raffaele che Salvatore Riina prima che venisse ucciso il giudice Falcone avrebbe avuto un incontro con persone importanti. Conferma questa circostanza…”. Cancemi conferma. La Boccassini gli chiede chi sono o chi potrebbero essere queste “persone importanti”. Cancemi risponde che Ganci non gli ha mai fatto nomi e che lui “non ne ha mai saputo né in quella occasione né successivamente i nominativi”. Ma più avanti, mentre si sta parlando d’altro, le presunte mazzette (il “pizzo”) che la Fininvest avrebbe pagato a Cosa nostra per evitare che le facessero saltare in aria le attenne delle sue televisioni, rispondendo a una domanda che stranamente non figura nel verbale, Cancemi ha un’intuizione: “Non credo – dice - che il pagamento di quella somma annuale costituiva una specie di pizzo… C’era qualcosa in più, io l’avevo intuito perfettamente…”. Qualcosa in più del pizzo: ma che cosa? Cancemi, che ha solo la terza elementare, ha intuito qualcosa, ma non sa che cosa. La Boccassini, che è più istruita, lo soccorre: “Lei ricorda se nel maggio del 1992, e cioè dopo che lei apprese dal Biondino Salvatore che Falcone doveva essere ucciso, e prima della morte di quest’ultimo, ha avuto ancora modo di assistere alla consegna di questa specie di pizzo…”. E Cancemi pronto: “Sì, certamente, ci fu una consegna di denaro due mesi prima, più o meno, della morte di Falcone…”.
La prima pietra è stata posta. Il pizzo che Berlusconi avrebbe pagato alla mafia non era un pizzo, ma un vero e proprio finanziamento, e Berlusconi ha finanziato Cosa nostra anche alla vigilia della strage di Falcone. Resta solo da accertare chi sono le “persone importanti”che Totò Riina ha incontrato prima di dare l’ordine di uccidere il giudice. Purtroppo, dopo lo storico interrogatorio, la Boccassini lascia la Sicilia e se ne torna a Milano, e la vite di Cancemi nelle mani di Caselli e compagni si inceppa di nuovo. Solo dopo due o tre anni Cancemi si ricorda di una “missione” che Riina gli avrebbe affidato qualche anno prima della strage, quella di ordinare a Vittorio Mangano, il famoso “stalliere”di Arcore, di non occuparsi più dei rapporti con la Fininvest, perché ormai Berlusconi e Marcello Dell’Utri - avrebbe detto Riina a Cancemi - sono direttamente “nte manu”, nelle mani di Riina. Passano un altro paio d’anni, siamo alla vigilia delle elezioni europee, e Cancemi fa sapere agli inquirenti che partendo da quella lontana “intuizione” stimolata dalla Boccassini cinque anni prima è arrivato a una “deduzione logica”: se Berlusconi finanziava Cosa nostra, se l’ha finanziata fino alla vigilia della strage, se intanto Riina aveva ’nte manu Berlusconi e Dell’Utri e in quella vigilia ha incontrato le “persone importanti”, queste non potevano che essere Berlusconi e Dell’Utri. La bomba doveva esplodere il 10 giugno del ’99, tre giorni prima della domenica elettorale per l’Europa, all’udienza già convocata per il processo per la strage di via D’Amelio. Per un improvviso impedimento dei pm di Caltanisetta (ma forse la vera ragione è in uno scrupolo preelettorale del procuratore di Caltanissetta), l’udienza slitta di sette giorni, al 17 giugno, ad elezioni e a scrutinii consumati. Cancemi recita ugualmente il suo numero e dà un ulteriore strappo alla vite, passando dalla intuizione alla deduzione logica, e dalla deduzione logica alla testimonianza diretta oculare e auricolare (“le persone importanti erano Berlusconi e Dell’Utri, i nomi li ho sentiti con le mie orecchie mentre Riina li diceva a Gangi”).
Ma la bomba scoppia a vuoto, le polveri sono bagnate dal successo elettorale di Forza Italia: Berlusconi ha avuto tre milioni di preferenze e Dell’Utri è stato eletto al Parlamento europeo. L’unico risultato è che si incazza anche il presidente della commissione parlamentare antimafia, il socialista Ottaviano Del Turco: ma dove siamo arrivati, un pentito screditato (nel frattempo Cancemi è stato dichiarato “altamente inattendibile”nelle sentenze di quattro tribunali ed è stato persino condannato all’ergastolo, unico caso per un pentito) per deduzione logica accusa di strage il capo dell’opposizione... E chiede al ministero degli Interni il verbale della riunione dello speciale comitato che ha rinnovato il contratto di collaborazione a Cancemi proprio alla vigilia del suo interrogatorio. La bomba che doveva impedire a Berlusconi di vincere le elezioni ha minato il palazzo costruito con tanta fatica negli anni partendo dalla prima pietra della Boccassini.
Ci sarà ancora qualche penoso e velleitario tentativo di puntellare il mostruoso marchingegno, qualche altra “rivelazione” de relato dei pentiti, altri “ragionamenti”di inquirenti che, come gli ultimi giapponesi, non si sono resi conto di aver perso la guerra, la clamorosa e ridicola gaffe del pm al processo per la strage di via D’Amelio (“è sufficientemente provato - gli scappa detto durante la requisitoria, proprio così: sufficientemente - il contatto tra Berlusconi e Riina”), subito sconfessato dallo stesso procuratore, e poi l’ultimo atto, in silenzio e alla chetichella, la richiesta di archiviazione di ieri. In silenzio e alla chetichella per due ragioni: perché si vergognano di ciò che hanno tentato di fare in questi sette anni contro Berlusconi “stragista”, ma anche perché temono che ora gli si chieda conto di ciò che invece non hanno fatto, di ciò che non hanno indagato. Perché agli atti dei processi, e anche agli atti del processo Andreotti, le tracce di “mandanti occulti” dietro le stragi ci sono, e come, ma portano in tutt’altra direzione di quella da loro così spericolatamente intrapresa. “Non avremmo mai potuto processare Andreotti - hanno detto i pm - se non fosse stato versato il sangue di Giovanni Falcone”. E ancora, gli stessi pm: “Il processo ad Andreotti doveva essere fatto prima, molto prima, quando è stato ammazzato il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, e un pentito accusò come mandante l’uomo di Andreotti in Sicilia, l’onorevole Salvo Lima, ma Falcone non gli volle credere e, invece di incriminare Lima e avvisare di reato Andreotti, incriminò per calunnia il pentito... “. E Giovanni Brusca, quando era ancora dichiarante in attesa del contratto di protezione: “Quando fu che si cominciò a lavorare per l’uccisione di Falcone, ci siamo visti con Totò Riina e alcuni altri della commissione. Ci siamo visti e dice: ‘Speriamo che succeda ora, speriamo che succeda ora’.
Perché? Perché in quel periodo si doveva eleggere il presidente della Repubblica e si faceva il nome di Andreotti, al che Riina dice: speriamo che riesca ora questo fatto di Falcone, in maniera che ad Andreotti ‘ci facemu fari nuautri u presidente da Repubblica’, cioè nel senso che se a quel momento succedeva come in effetti poi è successo, Andreotti non è stato fatto, cioè come prima regalo ad Andreotti, come si suol dire in siciliano con una fava ho preso due piccioni, cioè ho ucciso il dottor Falcone e nello stesso tempo con la reazione ad Andreotti non gliel’ho fatto fare…”. Il pentito che accusa Lima dell’assassinio di Mattarella, ma viene bloccato da Falcone; l’uccisione di Lima, ma non basta ancora a frenare la corsa di Andreotti; la strage di Falcone, la mancata elezione di Andreotti al Quirinale, il processo ad Andreotti e alla Dc: questa è la sequenza dei fatti. Altro che le intuizioni di Salvatore Cancemi.
(Lino Jannuzzi) 28 gen 2011 20:17
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
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