MA VA LA'........
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MA VA LA'........
La proposta: la consegna di 100mila euro in contanti contro titoli di credito per 70mila
Ciancimino jr al boss: dammi gli assegni
Il testimone intercettato con un indagato
per 'ndrangheta. L'ombra del riciclaggio
Massimo Ciancimino
ROMA - Qualche settimana fa è uscito dalla sua casa di Bologna senza gli agenti di scorta che solitamente lo accompagnano in ogni spostamento. Con la sua macchina ha raggiunto Verona ed è entrato nell'ufficio di un signore inquisito per appartenenza all'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta, dove la polizia aveva sistemato delle microspie. Ecco perché la voce di Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo divenuto un testimone-chiave nelle inchieste siciliane sulla trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dal '92 in poi, è stata registrata mentre discuteva con Girolamo Strangi, considerato collegato alla cosca Piromalli della Piana di Gioia Tauro. «Quando mi senti in televisione tu fottitene», ha detto il giovane Ciancimino a Strangi, prima di aprire il discorso sugli affari che intendeva condurre in porto. Ha parlato di giri di soldi e fatturazioni, poi ha proposto uno scambio all'uomo indagato per 'ndrangheta: la consegna di centomila euro in contanti contro assegni per settantamila euro.
Un affare in apparenza poco conveniente per chi lo suggerisce. Dal quale nasce il sospetto che dietro l'operazione si nasconda una manovra per riciclare il denaro. Nel colloquio Strangi ha accettato la proposta di Ciancimino. Ma come quasi sempre quando il figlio di «don Vito» deve consegnare qualcosa, c'era di mezzo un viaggio in Francia dove Massimo Ciancimino doveva recuperare il denaro da recapitare a Gioia Tauro attraverso un altro personaggio legato a Strangi. Quest'ultimo, Strangi, è ritenuto un personaggio che gestisce gli affari e le questioni economiche della famiglia Piromalli, uno dei più noti e potenti clan della Piana. E quando la Squadra mobile di Reggio Calabria ha captato questa conversazione, la Procura guidata da Giuseppe Pignatone ha avvisato i colleghi interessati alle indagini su Ciancimino: le Procure di Caltanissetta e Palermo, oltre alla Direzione nazionale antimafia.
Sul figlio dell'ex sindaco mafioso che da due anni e mezzo riempie verbali sui rapporti tra mafia e politica dagli anni Settanta fino ai primi Duemila (il padre morì nel 2002) si allunga dunque il sospetto di una possibile «ripulitura» di denaro forse di dubbia provenienza, se l'interessato è diposto a perdere il trenta per cento del suo valore pur di avere degli assegni «puliti». Sul giovane Ciancimino pesa già una condanna per riciclaggio di almeno una parte del patrimonio accumulato dal padre condannato per mafia. E al di là della fondatezza dei sospetti che dovrà chiarire l'inchiesta calabrese, resta il rapporto con un inquisito per 'ndrangheta da parte del testimone che nei suoi ultimi verbali ha tirato in ballo l'ex capo della polizia e attuale responsabile dei servizi segreti (ma soprattutto investigatore di punta al fianco di Giovanni Falcone e poi nell'inchieste che portò alla cattura dei suoi assassini) Gianni De Gennaro.
Ciancimino jr ha detto che era «vicino» al misterioso «signor Franco», mai identificato anello di congiunzione tra Stato e mafia nella presunta trattativa, dopo avere in precedenza confidato a un investigatore che «Franco» e De Gennaro erano la stessa persona. Poi ha precisato che invece c'erano solo dei rapporti tra i due. Ieri ha spiegato che le sue dichiarazioni derivano da ciò che gli confidava Vito Ciancimino, molto risentito nei confronti di Falcone e De Gennaro: «Ai magistrati ho evidenziato che non ho mai condiviso la idee di mio padre su De Gennaro, che ha rappresentato la lotta alla mafia ed è un grande investigatore» Ed ha aggiunto: «Non conosco l'identità del signor Franco, so solo che mio padre lo definiva un ambasciatore che faceva l'intermediario con i poteri forti». Sei mesi fa, quando ancora sfogliava album di fotografie davanti ai magistrati in cerca del volto che lui stesso ha ammesso di aver incontrato più volte fino al 2002, aveva detto: «Io so chi è il signor Franco, l'uomo dei Servizi sempre vicino a mio padre, ma è rischioso raccontare cose di cui non si hanno supporti cartacei».
Giovanni Bianconi
05 dicembre 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ciancimino jr al boss: dammi gli assegni
Il testimone intercettato con un indagato
per 'ndrangheta. L'ombra del riciclaggio
Massimo Ciancimino
ROMA - Qualche settimana fa è uscito dalla sua casa di Bologna senza gli agenti di scorta che solitamente lo accompagnano in ogni spostamento. Con la sua macchina ha raggiunto Verona ed è entrato nell'ufficio di un signore inquisito per appartenenza all'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta, dove la polizia aveva sistemato delle microspie. Ecco perché la voce di Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo divenuto un testimone-chiave nelle inchieste siciliane sulla trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dal '92 in poi, è stata registrata mentre discuteva con Girolamo Strangi, considerato collegato alla cosca Piromalli della Piana di Gioia Tauro. «Quando mi senti in televisione tu fottitene», ha detto il giovane Ciancimino a Strangi, prima di aprire il discorso sugli affari che intendeva condurre in porto. Ha parlato di giri di soldi e fatturazioni, poi ha proposto uno scambio all'uomo indagato per 'ndrangheta: la consegna di centomila euro in contanti contro assegni per settantamila euro.
Un affare in apparenza poco conveniente per chi lo suggerisce. Dal quale nasce il sospetto che dietro l'operazione si nasconda una manovra per riciclare il denaro. Nel colloquio Strangi ha accettato la proposta di Ciancimino. Ma come quasi sempre quando il figlio di «don Vito» deve consegnare qualcosa, c'era di mezzo un viaggio in Francia dove Massimo Ciancimino doveva recuperare il denaro da recapitare a Gioia Tauro attraverso un altro personaggio legato a Strangi. Quest'ultimo, Strangi, è ritenuto un personaggio che gestisce gli affari e le questioni economiche della famiglia Piromalli, uno dei più noti e potenti clan della Piana. E quando la Squadra mobile di Reggio Calabria ha captato questa conversazione, la Procura guidata da Giuseppe Pignatone ha avvisato i colleghi interessati alle indagini su Ciancimino: le Procure di Caltanissetta e Palermo, oltre alla Direzione nazionale antimafia.
Sul figlio dell'ex sindaco mafioso che da due anni e mezzo riempie verbali sui rapporti tra mafia e politica dagli anni Settanta fino ai primi Duemila (il padre morì nel 2002) si allunga dunque il sospetto di una possibile «ripulitura» di denaro forse di dubbia provenienza, se l'interessato è diposto a perdere il trenta per cento del suo valore pur di avere degli assegni «puliti». Sul giovane Ciancimino pesa già una condanna per riciclaggio di almeno una parte del patrimonio accumulato dal padre condannato per mafia. E al di là della fondatezza dei sospetti che dovrà chiarire l'inchiesta calabrese, resta il rapporto con un inquisito per 'ndrangheta da parte del testimone che nei suoi ultimi verbali ha tirato in ballo l'ex capo della polizia e attuale responsabile dei servizi segreti (ma soprattutto investigatore di punta al fianco di Giovanni Falcone e poi nell'inchieste che portò alla cattura dei suoi assassini) Gianni De Gennaro.
Ciancimino jr ha detto che era «vicino» al misterioso «signor Franco», mai identificato anello di congiunzione tra Stato e mafia nella presunta trattativa, dopo avere in precedenza confidato a un investigatore che «Franco» e De Gennaro erano la stessa persona. Poi ha precisato che invece c'erano solo dei rapporti tra i due. Ieri ha spiegato che le sue dichiarazioni derivano da ciò che gli confidava Vito Ciancimino, molto risentito nei confronti di Falcone e De Gennaro: «Ai magistrati ho evidenziato che non ho mai condiviso la idee di mio padre su De Gennaro, che ha rappresentato la lotta alla mafia ed è un grande investigatore» Ed ha aggiunto: «Non conosco l'identità del signor Franco, so solo che mio padre lo definiva un ambasciatore che faceva l'intermediario con i poteri forti». Sei mesi fa, quando ancora sfogliava album di fotografie davanti ai magistrati in cerca del volto che lui stesso ha ammesso di aver incontrato più volte fino al 2002, aveva detto: «Io so chi è il signor Franco, l'uomo dei Servizi sempre vicino a mio padre, ma è rischioso raccontare cose di cui non si hanno supporti cartacei».
Giovanni Bianconi
05 dicembre 2010
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Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
Data d'iscrizione : 25.09.10
Re: MA VA LA'........
lunedì 06 dicembre 2010, 08:00
Il bunga bunga del pm che indaga sul Cav
di Stefano Zurlo
Lo spettacolino si annuncia scoppiettante fin dal titolo: «Il dittatore del bunga bunga». Con tanto di fotomontaggio di Berlusconi, in mano una maliziosa banana e in testa un berretto alla Fidel Castro come il Woody Allen dittatore di Bananas, e logo dell’Italia dei valori che ha inventato la performance. L’appuntamento è per venerdì 10 dicembre al Paladozza di Bologna con un trenino di politici-penne-toghe da prima serata e audience alle stelle. Ci sarà Antonio Di Pietro e ci sarà Marco Travaglio, presentato come «la penna più irriverente d’Italia», ma al loro fianco si cimenterà con l’arduo tema della manifestazione anche un peso massimo della magistratura come Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo.
Per la verità, i magistrati protagonisti dell’evento saranno due: oltre a Ingroia prenderà la parola anche Bruno Tinti, il fortunato autore del pamphlet Toghe rotte, ma Tinti, proprio per evitare cortocircuiti e per non prestare il fianco a critiche, ha da tempo lasciato la professione. Ingroia invece è in servizio; non solo: è il titolare della delicatissima inchiesta sulla trattativa fra lo Stato e Cosa nostra per fermare le bombe, è il pm che ha ricevuto da Massimo Ciancimino il famigerato papello con le richieste dei corleonesi, ha rappresentato l’accusa al processo Dell’Utri (in primo grado), insomma si occupa di Arcore e dintorni da molti anni oltre a seguire e inseguire tanti altri misteri italiani: è stato lui, per esempio, a riesumare recentemente i resti, presunti, di Salvatore Giuliano per accertare una volta per tutte l’identità del corpo sepolto nel 1950, fra misteri e chiacchiere, nel cimitero di Montelepre.
In sostanza, Ingroia è uno dei pm che da tempo stringono d’assedio Palazzo Chigi e il Cavaliere. Legittimo. Ma fa una certa impressione scoprire che Ingroia prosegue con altri mezzi e su un altro palcoscenico l’attacco sferrato al Cavaliere nelle aule di giustizia. Al mattino s’indaga, la sera si gioca fra satira, musica, giornalismo. Sfruttando un sontuoso parterre: Di Pietro, Travaglio e Ingroia. Ma non solo: ci sarà anche Sergio Rizzo, il giornalista anticasta del Corriere della sera e poi Vauro, con le sue vignette puntute, e il nobel della letteratura più militante della storia, Dario Fo. E ancora, il comico Antonio Cornacchione e il cantautore Andrea Mingardi. A condurre le danze ci penserà un giornalista navigato come David Parenzo, scattante volto della tv, che cercherà il giusto mix fra gli ospiti e i temi, «ripercorrerà - come dicono gli organizzatori - gli ultimi quindici anni di storia italiana analizzando il degrado etico-morale di cui è stato vittima il nostro Paese», seguirà il filo indicato dal chilometrico titolo: «Il dittatore del bunga bunga. Lui va, io resto...»
Dunque, Ingroia, che scava sui molti misteri italiani del lungo dopoguerra - dalla morte di Mauro De Mauro ai rapporti con la mafia di Bruno Contrada - sarà una delle voci che daranno fuoco alle polveri. Per carità, esiste una trentennale tradizione militante di parte della magistratura italiana che da sempre si concepisce come contropotere. Basterà ricordare Nicoletta Gandus, il giudice del processo Mills che non perde occasione per criticare sul web, in corteo o nei dibattiti il governo Berlusconi. Sulla carta il magistrato ha tutto il diritto, come ogni altro cittadino, per far sentire le sue opinioni antipremier, ma se poi la stessa voce legge in aula la condanna ad un avvocato coimputato del presidente del Consiglio, ecco che qualcosa non quadra. Siamo al cortocircuito, all’invasione di campo, alla guerra fra diversi pezzi dello Stato. Soprattutto il magistrato - il pm e ancora di più il giudice - rischia di perdere quella credibilità e quell’autorevolezza che gli derivano dall’essere sganciato dalla cronaca, dalle passioni della politica e dagli altri poteri dello stato.
I tribunali sono abitati invece da alcuni giudici che l’opinione pubblica considera, a torto o a ragione, leader dell’opposizione: con una mano scrivono le requisitorie, con l’altra saggi e acuminati interventi che trovano sponda nelle parole dei leader, da Di Pietro a Bersani. Ingroia e il suo collega Roberto Scarpinato avevano partecipato, a settembre dell’anno scorso, al forum di lancio del quotidiano ultragiustizialista il Fatto e sempre il prolifico Ingroia ha firmato l’anno scorso un libretto brillante, ricco di spunti e polemico con il governo sin dal titolo: «C’era una volta l’intercettazione». Risultato, paradossale: il testo del pm siciliano è a disposizione dell’opinione pubblica, la legge non c’è ancora.
Piccola accortezza, l’Italia dei valori annuncia che Ingroia non sarà sul palco, con gli altri relatori, ma verrà intervistato in precedenza e risponderà in solitudine alle domande su legalità e illegalità. La sostanza non cambia. E la diretta, su siti e tv, amplificherà il messaggio. In fondo non hanno tutti i torti quelle toghe di Magistratura democratica che si concepiscono come la vera opposizione al berlusconismo. Anche perché la sinistra, in parlamento, non fa certo faville.
Il bunga bunga del pm che indaga sul Cav
di Stefano Zurlo
Lo spettacolino si annuncia scoppiettante fin dal titolo: «Il dittatore del bunga bunga». Con tanto di fotomontaggio di Berlusconi, in mano una maliziosa banana e in testa un berretto alla Fidel Castro come il Woody Allen dittatore di Bananas, e logo dell’Italia dei valori che ha inventato la performance. L’appuntamento è per venerdì 10 dicembre al Paladozza di Bologna con un trenino di politici-penne-toghe da prima serata e audience alle stelle. Ci sarà Antonio Di Pietro e ci sarà Marco Travaglio, presentato come «la penna più irriverente d’Italia», ma al loro fianco si cimenterà con l’arduo tema della manifestazione anche un peso massimo della magistratura come Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo.
Per la verità, i magistrati protagonisti dell’evento saranno due: oltre a Ingroia prenderà la parola anche Bruno Tinti, il fortunato autore del pamphlet Toghe rotte, ma Tinti, proprio per evitare cortocircuiti e per non prestare il fianco a critiche, ha da tempo lasciato la professione. Ingroia invece è in servizio; non solo: è il titolare della delicatissima inchiesta sulla trattativa fra lo Stato e Cosa nostra per fermare le bombe, è il pm che ha ricevuto da Massimo Ciancimino il famigerato papello con le richieste dei corleonesi, ha rappresentato l’accusa al processo Dell’Utri (in primo grado), insomma si occupa di Arcore e dintorni da molti anni oltre a seguire e inseguire tanti altri misteri italiani: è stato lui, per esempio, a riesumare recentemente i resti, presunti, di Salvatore Giuliano per accertare una volta per tutte l’identità del corpo sepolto nel 1950, fra misteri e chiacchiere, nel cimitero di Montelepre.
In sostanza, Ingroia è uno dei pm che da tempo stringono d’assedio Palazzo Chigi e il Cavaliere. Legittimo. Ma fa una certa impressione scoprire che Ingroia prosegue con altri mezzi e su un altro palcoscenico l’attacco sferrato al Cavaliere nelle aule di giustizia. Al mattino s’indaga, la sera si gioca fra satira, musica, giornalismo. Sfruttando un sontuoso parterre: Di Pietro, Travaglio e Ingroia. Ma non solo: ci sarà anche Sergio Rizzo, il giornalista anticasta del Corriere della sera e poi Vauro, con le sue vignette puntute, e il nobel della letteratura più militante della storia, Dario Fo. E ancora, il comico Antonio Cornacchione e il cantautore Andrea Mingardi. A condurre le danze ci penserà un giornalista navigato come David Parenzo, scattante volto della tv, che cercherà il giusto mix fra gli ospiti e i temi, «ripercorrerà - come dicono gli organizzatori - gli ultimi quindici anni di storia italiana analizzando il degrado etico-morale di cui è stato vittima il nostro Paese», seguirà il filo indicato dal chilometrico titolo: «Il dittatore del bunga bunga. Lui va, io resto...»
Dunque, Ingroia, che scava sui molti misteri italiani del lungo dopoguerra - dalla morte di Mauro De Mauro ai rapporti con la mafia di Bruno Contrada - sarà una delle voci che daranno fuoco alle polveri. Per carità, esiste una trentennale tradizione militante di parte della magistratura italiana che da sempre si concepisce come contropotere. Basterà ricordare Nicoletta Gandus, il giudice del processo Mills che non perde occasione per criticare sul web, in corteo o nei dibattiti il governo Berlusconi. Sulla carta il magistrato ha tutto il diritto, come ogni altro cittadino, per far sentire le sue opinioni antipremier, ma se poi la stessa voce legge in aula la condanna ad un avvocato coimputato del presidente del Consiglio, ecco che qualcosa non quadra. Siamo al cortocircuito, all’invasione di campo, alla guerra fra diversi pezzi dello Stato. Soprattutto il magistrato - il pm e ancora di più il giudice - rischia di perdere quella credibilità e quell’autorevolezza che gli derivano dall’essere sganciato dalla cronaca, dalle passioni della politica e dagli altri poteri dello stato.
I tribunali sono abitati invece da alcuni giudici che l’opinione pubblica considera, a torto o a ragione, leader dell’opposizione: con una mano scrivono le requisitorie, con l’altra saggi e acuminati interventi che trovano sponda nelle parole dei leader, da Di Pietro a Bersani. Ingroia e il suo collega Roberto Scarpinato avevano partecipato, a settembre dell’anno scorso, al forum di lancio del quotidiano ultragiustizialista il Fatto e sempre il prolifico Ingroia ha firmato l’anno scorso un libretto brillante, ricco di spunti e polemico con il governo sin dal titolo: «C’era una volta l’intercettazione». Risultato, paradossale: il testo del pm siciliano è a disposizione dell’opinione pubblica, la legge non c’è ancora.
Piccola accortezza, l’Italia dei valori annuncia che Ingroia non sarà sul palco, con gli altri relatori, ma verrà intervistato in precedenza e risponderà in solitudine alle domande su legalità e illegalità. La sostanza non cambia. E la diretta, su siti e tv, amplificherà il messaggio. In fondo non hanno tutti i torti quelle toghe di Magistratura democratica che si concepiscono come la vera opposizione al berlusconismo. Anche perché la sinistra, in parlamento, non fa certo faville.
Luciano Baroni- Numero di messaggi : 414
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